Elogio semi-serio dei “lambascioni”
Se siete lucerini, il sentir parlare di lambascioni non vi lascerà indifferenti perché è un classico della tradizione culinaria paesana.
Si tratta in realtà di una pianta stagionale che fioriva in modo spontaneo, soprattutto nelle campagne della Capitanata, nei terreni messi a riposo, tra i venti e i quarantacentimetri di profondità.
Il lampascione, chiamato comunemente cipollaccio col fiocco, presenta delle infiorescenze dal caratteristico colore viola acceso e un bulbo, la parte commestibile, che sprigiona un particolare e piacevole sapore amarognolo.
In questi ultimi tempi, poiché sono introvabili quelli cresciuti spontaneamente, a causa delle arature profonde e dell’eccessiva concimazione dei terreni, ci si accontenta di quelli coltivati.
Oggi i lampascioni sul mercato sono tunisini a gogò perché molto probabilmente sono coltivati in Tunisia.
Etimologicamente il termine lampascione potrebbe derivare da lampathium, nome latino di un bulbo molto apprezzato per le proprietà afrodisiache che gli furono attribuite dagli antichi romani, i quali usavano offrirlo al novello sposo, durante i pranzi nuziali, come un autentico «viagra» naturale.
Secondo studi medici più recenti i lampascioni hanno proprietà depurative, lassative, diuretiche ed emollienti e sono caratterizzati da un basso apporto calorico; le sostanze in esso contenute hanno diverse proprietà, tra le quali quella di abbassare la pressione sanguigna, il colesterolo e prevenire la formazione di trombi e del tumore intestinale. Inoltre, secondo la tradizione lucerina, erano utilizzati anche per la cura dei calli.
É nella cucina tradizionale lucerina che il lampascione assume il ruolo di vero protagonista.
I bulbi vanno puliti, pelati e lavati. Dopo aver operato un taglio a croce sulla loro base, per favorire lo spurgo del retrogusto amaro, si devono lasciare a bagno in acqua per circa un giorno.
A questo punto sono pronti per la cucina: lessati e conditi con olio e aceto, fritti in pastella, soffritti, cotti alla brace o al forno, usati per frittate, conservati sott’olio. Quelli lessati vanno mangiati a temperatura ambiente, dopo averli schiacciati con molta dolcezza e cautela c’a fercíne (con la forchetta) affinché possano assorbire bene l’olio e l’aceto di condimento.
Sono ottimi anche sott’olio in pastella.
L’unica controindicazione è che, se mangiati in quantità eccessive, sono eccezionali nemici del colon. Specialmente a cena, provocano, a causa della fermentazione intestinale, fastidiosi problemi di meteorismo e di flatulenza, anche innumerevoli violente rumorose tempeste burrascose intestinali, arrivando a essere considerati, in maniera scherzosa, una delle fonti del buco nell’ozono.
Proprio per questo generano proprio ed altrui imbarazzo. I lambascioni sono un paradiso per chi li mangia ed un inferno per chi ne deve sopportare gli effetti collaterali. Si consiglia di arieggiare dopo l’uso.
I lampascioni rimangono un prodotto alimentare apprezzato e conosciuto soprattutto nelle nostre terre, anche se ultimamente si possono trovare sui banconi dei mercati di tutta Italia. A ciò hanno contribuito varie aziende lucerine impegnate a venderli conservati in vasetti sott’olio.
Per concludere, il termine dialettale lambascióne è utilizzato anche per indicare uno stupido, cretino, sciocco, imbecille, tardo.
Lino Montanaro