
Gocce di memoria: i riti pasquali a Lucera (parte prima)
Tutto iniziava con il Mercoledì delle Ceneri: nelle chiese si spargeva, sulla testa dei fedeli la cenere ottenuta bruciando i rami di ulivo benedetti la Domenica delle Palme dell’anno precedente. In questo giorno tutti eravamo tenuti al digiuno eucaristico, regola inderogabile che era rispettata in tutte le famiglie lucerine.
Durante la Quaresima, bisognava rispettare la devozione: mangiare di magro, cioè evitare come cibo la carne e i suoi derivati. I ragazzi, nel periodo quaresimale, erano tenuti a fare i fioretti cioè sacrificare qualcosa cui si teneva molto. Una delle più curiose e stravaganti tradizioni di Lucera, era il rito quaresimale della quarandana.
Etimologicamente il termine deriva appunto da Quaresima, cioè il periodo di penitenza di quaranta giorni che, nella liturgia cattolica, prepara alla Pasqua, dal mercoledì delle Ceneri al Sabato Santo. Alla mezzanotte dell’ultimo giorno di carnevale, si era solito legare ai fili che collegano due balconi, una sorta di bambola raffigurante una vecchia, detta quarandana, vestita tutta di nero.
Sotto la gonna della quarandana era sistemata un’arancia sulla quale erano appuntate sette penne di volatile, sei nere e una bianca, che rappresentano l’espiazione dai sette peccati capitali. Le nere, che rappresentano le sei domeniche di penitenza che precedono la Pasqua, venivano tolte ogni domenica di quaresima. La bianca rappresentava la Pasqua, la resurrezione. La sera della domenica di Pasqua la quarandana veniva bruciata.
Lino Montanaro

