
Gocce di memoria: i riti pasquali a Lucera (parte terza)
La mattinata di Pasqua, ci si svegliava presto per via dello scoppio delle calecasse (grossi petardi di fuoco d’artificio) che annunciava la resurrezione. Poi partiva dalla storica chiesa di Sant’Antonio Abate, la processione, che sfilava per le vie e le piazze principali di Lucera, con la statua lignea e policroma di Gesù Risorto, opera di uno scultore di Ortisei in Gardena.
La statua era portata a spalla dai componenti dell’Arciconfratenita della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, preceduta dai membri e dalle insegne delle confraternite della città e seguita dalle autorità religiose, civili e militari e dai fedeli. Chiudeva la processione la banda musicale di Lucera che eseguiva brani coerenti con l’evento.
Sui balconi delle strade attraversate dalla processione, erano esposte variopinte coperte di seta, e dagli stessi erano lanciati petali di fiori, entrambi simboli di festa. A conclusione della processione, in Piazza Giacomo Matteotti, tra la Chiesa di Sant’Antonio Abate e la Villa Comunale, veniva accesa l’immancabile batteria pirotecnica.
A mezzogiorno tutti a tavola: il pranzo di Pasqua era composto dalle cicorie di campagna con le uova e la carne d’agnello, dal tegame di patate al forno con la carne d’agnello, dalla minestra di erbe di campagna miste. Si preparava anche la fellata, cioè un misto di salumi (pancetta tesa, soppressata, salsiccia dolce e piccante, capocollo, guanciale) che venivano aperti appunto a Pasqua, corredati da uova sode.

Il pranzo terminava i dolci pasquali della tradizione: il pizze palumme che letteralmente vuol dire “pezzo di colombo” e, infatti, può essere considerato l’antenato della colomba pasquale. Esso era preparato seguendo un’antichissima ricetta, che si tramandava gelosamente da generazioni, da madre in figlia. Ogni famiglia lucerina adottava le sue varianti alla ricetta originale, con il comune denominatore dell’utilizzo di pochi, sani e genuini ingredienti, da dosare con una certa precisione. È perfetto come prima colazione, si mangia per merenda e anche come dessert, perché i piaceri semplici sono sempre i più apprezzati. Altro dolce pasquale molto apprezzato era la farrata, una torta preparata con ingredienti della civiltà contadina lucerina.
Prima dell’inizio del pranzo era d’uso che il più vecchio della famiglia benedicesse tutti i commensali con l’ulivo benedetto.
Le tradizioni pasquali terminavano con la Pasquetta, il lunedì in albis. Il giorno della scampagnata o Castìlle, presso la fortezza svevo-angioina che coinvolgeva la quasi totalità della popolazione. Intere famiglie trascorrevano l’intera giornata in perfetta allegria, gustando ogni ben di Dio: il tegame con le patate al forno con la testina degli agnelli, le cicorie con l’uovo e la carne d’agnello, la parmigiana e, per i più esigenti, il tegame di timballo al forno. Inoltre, facevano bella presenza i tradizionali dolci di Pasqua. Non mancavano le bancarelle con noccioline, castagne infornate, taralli ricoperti di zucchero glassato, collane di castagne e noccioline ed altri prodotti.

Prima di tornare a casa molti raccoglievano la famosa rucola che cresceva lungo i fianchi del colle Albano, dove sorge la fortezza da sempre considerata una prelibatezza, per il suo inconfondibile sapore e profumo. Con essa i lucerini hanno un vincolo affettivo particolare: le si attribuivano addirittura poteri magici, infatti si diceva che se una donna la cucinava bene aveva la sicurezza di conquistare il suo uomo per tutta la vita, come si diceva anche che se un forestiero si mangiava la rucola del Castello, era legato indissolubilmente a Lucera, fino a ritornarci e restarci senza più andare via.
Ancora oggi a Lucera la Pasqua è una delle festività più sentite e le tradizioni popolari soprariportate sono ancora, per la maggior parte, ancora rispettate.
Lino Montanaro
