I vitajùle
A Lucera, come in tante altre località della provincia italiana, verso la fine degli anni ’60, esisteva, in una atmosfera provinciale ancora statica e ovattata, una categoria particolare di giovani lucerini. Cresciuti nel dopoguerra, figli tutti di quel processo e di quel cambiamento culturale e di comportamenti che annunciava e viveva il ’68-69, che aveva scoperto una certa propensione alla bella vita, alle avventure, ai passatempi e, soprattutto, collezionisti di conquiste femminili, erano i cosidetti “vitajùle“.
Giovani, solo qualcuno auto munito, anche perché in quel periodo quelli che avevano un’auto si contavano sulla punta di una mano, che trascorrevano le loro giornate il mattino a dormire, il pomeriggio con qualche fugace apparizione al bar De Chiara e, spesso, le serate, fino alle ore più tarde della notte, a giocare al pokerino, all’insegna del disimpegno totale.
Essi, cui Lucera dava l’impressione di stare tanto stretta, si presentavano sempre sorridenti, cercando di tenersi sempre lontani da ogni responsabilità, con il fine quotidiano di ammaliare, con molto metodo, ogni rappresentante del genere femminile, che, con una trama sempre identica, corteggiavano, prendevano e lasciavano, senza porsi tanti scrupoli. Le ragazze, che cominciavano a godere di maggiore libertà rispetto alle loro madri e sorelle maggiori, pur scoraggiate dalla fama di “sciupafèmmene” di questi mitici personaggi, capaci di fidanzarsi con due, tre ragazze contemporaneamente, ne erano inevitabilmente attratte, anche perché riuscire a conquistare definitivamente questo tipo di uomo creava rispetto ed invidia da parte delle altre ragazze che avevano fatto fiasco.
Questi irresistibili cascamorti, costituivano fonte d’ispirazione, delle leggende, dei modelli, quasi sempre inaarrivabili, per tutti i giovanotti di quegli anni, che facevano delle loro gesta uno degli argomenti preferiti, con un miscuglio di stupore e ammirazione, nelle lunghe serate seduti ai tavolini del Bar De Chiara, sui gradini della Cattedrale o, d’estate, sui sedili della Villa.
Queste singolari figure di “Don Giovanni di provincia”, immortalate da Federico Fellini con il film “I vitelloni”, incapaci di affrontare seriamente la vita, ebbero il loro naturale epilogo nella Lucera post sessantottina.
Lino Montanaro