Antropologia & Arte,  Memoria

Il gioco “Zomba pila pile”

Zomba píla píle” è la pittoresca definizione del gioco della cavallina. I giochi dei bambini sono figli del tempo ed espressione dell’ambiente sociale ove sono praticati.

Oggi, i giochi, creati dalla moderna tecnologia e dall’industria ricreativa, non richiedono ai bambini e ragazzi quell’impegno e quella fantasia che erano necessari negli anni passati.

Essi si costruivano i giocattoli (carrettini, carriole, spade, archi, frecce, ecc.) con i materiali che riuscivano a recuperare e creavano giochi di gruppo e momenti di socializzazione.

In fondo, c’era voglia di divertirsi e stare con gli altri in “mezzo alla strada” o negli “spazi aperti”. Come in questi giochi, fatti di abilità e precisione: mazze e píveze (la lippa); a fercènelle (la fionda); a cambane (la campana); e altri ancora. Uno in particolare richiedeva capacità, coraggio e forza: zomba píla-píle (la cavallina).

Questo gioco, cui partecipavano due squadre, composte di più elementi, iniziava con la conta per stabilire la parte da assegnare alle stesse: una vace sòtte (va sotto) e l’altra vace sópe (va sopra).

Quella che vace sòtte si disponeva a cavalle (a cavallo), ossia con i giocatori chinati e attaccati uno all’altro a formare una sorta di cavallo. Con il primo che appoggiava la testa sulla pancia d’a mamme (della mamma), cioè di un giocatore che si sedeva su un gradino o su un muretto, per reggere la propria squadra (generalmente la scelta ricadeva sul più robusto e forte).

Quella che vace sópe era composta da cavalìre (dai cavalieri) i quali, prendendo slancio e gridando rispettivamente: «zomba píla-píle e vúne», «zomba píla-píle e dúje», «zomba píla-píle e ttrè», «ecc.», saltavano uno alla volta sul cavallo. L’abilità stava nel saltare lungo e lasciare lo spazio per facilitare i successivi salti degli altri cavalieri.

I cavalieri dovevano fare attenzione a non poggiare a terra i piedi e a non cadere; perciò, battevano le mani per dimostrare che stavano in equilibrio. L’errore, anche di un solo cavalìre, costringeva la squadra a diventare cavalle.

La squadra di cavalle doveva sopportare il peso di cavalìre, fino a quando il capo non dicesse «uno, due e tre»; altrimenti toccava stare un’altra volta sotto.

Ogni squadra aveva diritto a tre salti; quelli non goduti, a causa dell’errore, andavano a beneficio della squadra avversaria. 

Ai nostri giorni, per più motivi e per i pericoli del traffico, non si gioca più nelle strade e tanti antichi giochi continuano a vivere solo nella memoria e nei racconti delle persone anziane.

Lino Montanaro

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