La pasta lucerina fatta in casa
La pasta, sempre presente sulle nostre tavole, è il fiore all’occhiello della gastronomia italiana.
Per i lucerini, e non solo, la vera pasta è però quella fatta in casa.
Ai tempi delle nostre nonne e mamme, preparare la pasta fresca era un’arte, tramandata di madre in figlia. Tempo, passione, pazienza e un duro lavoro di braccia servivano per ottenere la pasta di ogni formato, dalla consistenza giusta per tenere bene la cottura.
Le donne lucerine di una volta si svegliavano prestissimo la mattina per preparare, con un rituale quasi religioso, la pasta fatta in casa. Le donne indossavano, prima di iniziare e per una sorta d’igiene, sia il grembiule (u grembiale) che il fazzoletto bianco (‘a mèzza scolle) sul capo per raccogliere i capelli.
Mostrando le loro grandi doti, dopo essersi fatto il segno della croce, iniziavano, con le mani a pugno, a impastare sulla la spianatoia di legno (u tavelìre), attrezzo di cucina munito di tre sponde di legno alte fino a 10 cm, ai due lati e sul fondo e posto su due sedie. Altri elementi indispensabili erano l’acqua, un mattarello (u laghenatúre), il sale (u sale), la semola, la farina, passate al setaccio (‘a setèlle), un coltello (‘a sfèrre), e, soprattutto “olio di gomito”.
Le donne lucerine ammucchiavano semola o farina al centro d’u tavelíre, facendone un cratere. A questo punto versavano acqua a temperatura ambiente e impastavano fino a che non si creava un composto omogeneo. Questo veniva, quindi, lavorato per creare una pasta diversi formati.
A Lucera, i più comuni formati sono:
- i cecatille (tipo particolare di orecchiette) sono originari della Francia meridionale, probabilmente portati a Lucera dagli Angioini. Il nome deriverebbe dalla loro forma simile a una palpebra semichiusa. Si ottengono dall’impasto ridotto a cordoncini, relativamente lunghi e spessi quanto un dito. Sono tagliati a cilindretti di un centimetro e schiacciati con un colpo di pollice sópe u tavalire e poi rivoltati col coltello. È una pasta che si sposa bene con sughi e verdure: cecatille c’u rragù; c’a recotta toste; c’a rúchele; ch’i vrucchele níreve; ch’i vrucchele de rape (orecchiette al ragù, con la ricotta dura, la rucola, il cavolo nero, i broccoli di rapa);
- i trucchjele (tipo di spaghettoni): per farli è necessario tagliare l’impasto in pezzi, stenderlo c’u laghenatúre e ottenere una sfoglia dalla forma rettangolare, alta pochi millimetri. Poi, passandovi sopra u trucchjele (speciale mattarello), di bronzo o di legno e munito di speciali scanalature, si ottengono gli spaghettoni. Prima di essere cotti, per pochi minuti, in acqua bollente salata, si lasciano asciugare sóp’u tavalìre. I trucchjele si sposano bene con un ragù corposo, preparato ch’i bbrascióle (con gli involtini di carne) e spolverati di pecorino;
- i laghene (le fettuccine): si preparano trasformando l’impasto in una sfoglia dallo spessore corposo, tagliata a strisce non molto lunghe e larghe 1-2 centimetri. Dopo averle lasciate sóp’u tavalìre ad asciugare, sono pronte per essere cucinate ch’i fafe (con le fave), ma anche ch’i cìcere e i fasúle (con i ceci e i fagioli);
- i mambrìcule (la semola battuta): il cui nome nasce dall’unione dei termini dialettali, mane e frìcule (mano e briciola). Per farli, sóp’u tavalìre si crea un mucchietto di semola, con un cratere al centro, ivi si aggiungono uova, prezzemolo, formaggio e si procede a impastare il tutto. Ottenuto l’impasto, lo si sgretola con maestria, riducendolo in briciole. I mambrìcule sono ottimi al brodo, ma possono essere conditi con il ragù.
Altri formati meno noti erano:
– i vainèlle o lènghe de cane: pasta fresca corta simili ai cicatelli , si preparavano e si mangiavano l’ultimo giovedì di carnevale Per realizzarle, si utilizza lo sfèrre, coltello senza manico dalla punta arrotondata col quale si tirano dei pezzetti di impasto fino a ottenere un cannello allungato e incurvato.
- i strascjenate: fatti con un impasto di farina di semola di grano duro e anche con l’aggiunta di grano arso, erano preparati con l’operazione di trascinare con il dito l’impasto, per ottenere dei pezzi allungati e appiattiti.
- i stuualètte : pasta lunga e attorcigliata a spirale ottenuta con il ferro della lana, tipo cannaruzzètte
- i cavezungìlle: altro formato di pasta tipico del carnevale erano preparati ripieni con la ricotta, uovo formaggio pecorino e parmigiano, prezzemolo salame o prosciutto
- ‘a sagne: le lasagne sono quel tipo di pasta tirata e stesa sottilmente aggiunta a vari condimenti, le striscioline di circa 1 centimetro e mezzo vengono attorcigliate su loro stesse e “ngaannulate”(girate) per tre volte con il palmo della mano, oppure attorno a un cannello di legno.
- i cavatìlle: una pasta dalla caratteristica forma allungata fatta a mano “ngavanne” l’ìmpasto ( arricchito spesso con patate lesse) con la pressione dell’indice e del medio.
Queste paste fatte in casa sono anche alla base di nuove ricette dei giovani chef lucerini che coniugano tradizione e innovazione.
Da qualche tempo, per varie ragioni, la pasta commerciale sostituisce quella fatta in casa. Però, quest’ultima rimane il simbolo dei pranzi particolari e dei giorni di festa.
Lino Montanaro
PER SAPERNE DI PIÙ SUI CIBII LUCERINI
• Lino Montanaro, Lino Zicca: Lucera di una volta, Catapano Grafiche, 2021