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Lucera, la cultura, il turismo e i McDonald

Ammetto che ho davvero faticato nel convincermi a scrivere queste righe. Principalmente perché è già successo che i suggerimenti e/o le legittime critiche costruttive siano stati poi additati come “disfattismo” o “soliti signor no” o, più semplicemente, ignorati. Però alla fine ho pensato che valga la pena provarci anche con il rischio che questo accada perché il dibattito possa fluire e magari sperare in un miglioramento.

Necessario è quindi fare una grandissima premessa, che voglio sia chiara e cristallina per chi si accinge a leggere queste righe: il recente video di Pinuccio è tecnicamente ineccepile, mostra Lucera in una luce professionale ed ammaliante e sono felicissimo che la mia città per cui tanto ho lottato e per cui tanto ho patito per poterci tornare a vivere dopo decenni in giro per il mondo abbia finalmente la vetrina che merita. Questo deve essere stampato a caratteri cubitali nelle vostre menti prima di andare avanti nella lettura.

Detto questo, ci sono considerazioni che io ritengo fondamentali per chi tra pochi mesi si fregerà del titolo di Capitale della Cultura. E badate, capitale della CULTURA, non del Turismo, non delle Emozioni, non del Marketing, non del Cibo. Fosse stata la capitale del Turismo, non avrei scritto queste righe. Ma per amore della cultura in generale e la cultura (che comprende la storia, l’archeologia, il patrimonio materiale e immateriale) locale, non posso e non voglio esimermi da esprimere la mia opinione.

Partiamo dal presupposto che partire da una leggenda è molto più semplice che partire da un fatto storico. Sia perché le leggende solitamente sono piene di aneddoti misteriosi (e il mistero attira sempre, vedi alieni, templari, ecc.) ma anche perché permette “licenze” e “libertà” che il fatto storico non permette di avere. Tralasciando per il momento il fatto che Lucera può vantare fatti storici unici e allo stesso tempo misteriosi, affascinanti e straordinari (però ovviamente bisogna conoscerli sic.), chi ha realizzato il video, per seguire il filone delle “Leggende di Puglia” ha battezzato come “leggenda” la storia di Santajusta, il “nostro” Robin Hood.

Peccato che la leggenda, leggenda non sia, perché ciò che viene presentato come tale, altro non è che un romanzo storico (di straordinaria bellezza) scritto negli anni Trenta del Novecento dal giornalista lucerino Alfredo Pitta, dall’omonimo titolo “Santajusta“. Mi soffermo su questo anche perché ho iniziato ad avvicinarmi alla Storia di Lucera e alla Storia in generale proprio grazie a quel romanzo – che invito tutti a leggere! c’è anche una recente ristampa edita da Grenzi e curata da Giuseppe Trincucci con i disegni di Costantino Postiglione – e quindi l’amore per quel libro e per la mia città non mi può far esimere dal fare questa prima precisazione.

Il romanzo di per sé, trasformato in leggenda, durante il video è già stato piegato alle esigenze narrative, così come molti dettagli che sono, giustamente direi, funzionali al fatto che chiaramente l’obiettivo del video è quello di mostrare luoghi e monumenti caratteristici della città come l’anfiteatro romano, la chiesa di San Francesco, la cattedrale e la fortezza angioina. E sarebbe legittimo “piegare” leggende e romanzi per quello che è un fine comprensibile, non fraintendetemi, ma questo dovrebbe anche essere funzionale ad un racconto storicamente perlomeno coerente o nel sottofondo di ciò che si vuole raccontare.

Quello che ho percepito vedendo il video, infatti, non è stato il voler comunicare la storia e il contesto storico dei nostri meravigliosi monumenti, ma un forzatissimo minestrone di “distorsioni” solo ed esclusivamente votato a mostrare dei luoghi. Luoghi non inseriti in un contesto storico, anzi, ma con connotazioni antistoriche e fuori da ogni minimo senso storico.

Vi faccio qualche esempio per chiarire questo punto:

  • Il fatto che si chiamasse “Santajusta” perché era un cavaliere “giusto” è la prima volta che lo sento. In realtà probabilmente il nome era quello per via della località “Santa Iusta” (dedicato a Santa Giusta) in agro di Lucera (che tra l’altro era pure insediamento medievale oggi scomparso) in cui poi vicino insisteva un querceto da cui poi la famosa “Quercia di Santajusta” (in altra località però)
  • All’inizio del video, introducendo il romanzo, Pinuccio parla di “assedio degli angioini” nella città degli svevi (che se proprio dobbiamo essere precisi non c’erano più perché Manfredi era stato fatto fuori a Benevento) quindi nel periodo 1268-1269, che è poi il contesto in cui si muove anche il romanzo
  • Si parla dell’accampamento degli angioini fuori le mura, ovviamente, che tra l’altro sappiamo essere stato in località “Il Seggio” (dal francese “siége” assedio) dove probabilmente insisteva il “Castrum Sancti Iacobi” ovvero un monastero convertito a castello per poter permettere alle truppe angioine di insediarsi stabilmente contro la città. Ovviamente lì vicino c’è l’anfiteatro romano, e quale occasione migliore per farlo vedere? Può starci, anche se chiaramente una “stortura”. Non sappiamo nemmeno, ad esempio, se in epoca sveva l’anfiteatro fosse in qualche modo in piedi o già distrutto e sotterrato.
  • Si parla della distribuzione del cibo rubato agli angioini. Tutta questa parte (dovrei andare a controllare) non credo esista nel romanzo, ma ovviamente è funzionale all’esibizione di due chiese: la cattedrale (nata probabilmente sui resti della moschea grande) e la chiesa di San Francesco. Ora, tralasciando le diatribe storiche sulla moschea, la chiesa di San Francesco verrà costruita solo a partire dal 1300, dopo lo sterminio della colonia, quindi non l’avremmo mai trovata nel 1269! Tra l’altro il tema della presenza cristiana a Lucera durante la colonia saracena ancora non è mai stato chiarito completamente e andrebbe approfondito.
  • C’è il punto in cui si parla della figlia di un francese che si innamora di Santajusta, topos piuttosto comune nei romanzi storici, come in Robin Hood tra l’altro. Altra occasione ovviamente per mostrare l’anfiteatro (solo nelle immagini per fortuna)
  • Si parla dell’assedio in cui la città “si trasferisce nel castello” quando, ahinoi, la fortezza fu costruita subito dopo! A quel tempo infatti, avremmo trovato il palazzo di Federico II (il proto Castel del Monte) e chissà cos’altro, perché proprio gli angioini decisero di radere al suolo tutto (tranne il palazzo che fu riutilizzato come prigione) per costruire l’attuale fortezza. Il paradosso è che la fortezza doveva difendere non la città, ma DALLA città! Proprio perché i saraceni rimasti potevano in qualche modo attaccare i provenzali chiamati da Carlo d’Angiò a partire dal 1270. Quindi tutte le elucubrazioni successive non hanno nessun senso storico ma solo un fine “turistico“. Per non parlare poi del fatto che nella narrazione c’è il paradosso per cui Santajusta sperava nell’aiuto di Corradino dalla torre fatta costruire 10 anni dopo da Carlo I!
  • Il fatto che i bambini vengano atterriti per il “leopardo” è un’altra distorsione bella e buona, quando paradossalmente è vero che dopo la pubblicazione del romanzo, le mamme dicevano ai figli “Attento che arriva Santajusta“! Potevano azzeccarla, e invece no.

Abbiamo visto quindi come il romanzo sia diventato leggenda, e come la storia sia stata più che piegata ad esigenze che di culturale hanno poco. Vorrei anche chiedermi chi ha dato le informazioni e scritto i testi per Pinuccio. Ma tralascerei questo punto e vorrei ritornare su un concetto che dovremmo anche tenere sempre presente: la cultura e il turismo sono due cose separate, che possono dialogare, possono essere complementari ma che nascono con obiettivi e fini completametne diversi. Non credo sia necessario soffermarsi su quale sia l’obiettivo della cultura e quale sia quello del turismo, basti pensare che il primo ha un fine principalmente “sociale” mentre il secondo “economico“, sebbene in misura minore questi due elementi possano coesistere in uno o nell’altro settore.

Se poi la promozione è turistica e non culturale, è chiaro che chi di comunicazione si occupa, preferirà piegare alle esigenze turistiche la parte culturale e non viceversa. Un po’ come nonostante esistano forme di dialogo tra archeologia ed edilizia, è chiaro che nella prospettiva del costruttore l’archeolgia sia un “fastidio” e non un’opportunità e credo sia così a volte per il turismo rispetto alla storia. E ovviamente edilizia, così come il turismo, portano economia, mentre archeologia e storia, nella mente di alcuni, oltre ad essere tediose e noiose, siano anche anti-economiche e sappiamo bene che il consenso, non solo politico, si basa principalmente sull’economia e non su altro.

Quello che sto provando a dire è che esiste una concreta giustificazione nella prospettiva turistica e di conseguenza economica rispetto alla cultura, alla storia e all’archeologia che ovviamente viene sostenuta da tutti, anche dalle comunità locali, che vivono fortissimi disagi sociali e sarebbero felicissime di sacrificare parte della loro storia e della loro cultura per vedere le strade cittadine riempite di turisti pagare 5 euro un caffé o 15 euro per farsi una foto di fianco alla statua di Santajusta. Un po’ come è accaduto per Romeo e Giulietta a Verona, dove, scusate devo distruggervi un mito, non è mai esistito quel bel balcone nel vicoletto nascosto (dove tra l’altro tutti si fermano a farsi la foto mentre toccano il seno di Giulietta perché “porta bene”) ma è stato esattamente inventato dal nulla per attirare allodole assetate di selfie.

E qui si aprono due temi: il primo, quello del turismo di massa, su cui in realtà non vorrei soffermarmi molto perché richiederebbe tantissime altre righe, ma vi basterà sapere che preferisco il tursimo “lento” che è proprio della nostra cultura e dei nostri usi e consumi (e sopratutto che preserva i luoghi), il secondo invece è se davvero abbiamo bisogno delle “leggende” per “raccontarci” o per raccontare la nostra comunità che ha radici che si perdono davvero nella Storia.

Per capirci, siccome ci ho speso anche molti anni, la storia di Santajusta trae ispirazione con altissima probabilità da un personaggio davvero esistito (e sono rimasto strabiliato dalle affinità con il Drigo di Alfredo Pitta) e che tra l’altro, come il nostro Santajusta, ha dato la sua vita per difendere Lucera fino ad essere torturato a morte. Il suo nome era Guglielmo De Parisio, feudatario, guarda caso, di Pietramontecorvino (oltre che di altri centri limitrofi) e che tra le altre cose si mise alla testa di una delle più diffuse ribellioni del Mezzogiorno d’Italia e la cosa più strabiliante è che il papa scomunicò più volte Guglielmo perché si era “alleato” con i saraceni. Non voglio dilungarmi oltre, ma al massimo vi invito a leggere il foto-racconto (premiato tra le altre cose nel 2018 al premio Philobiblion a Milano qui: https://www.luceramemoriaecultura.it/…/gli-ultimi…/ ) e vi dico che a Gallipoli, dove Guglielmo fu giustiziato, esiste una via chiamata “Via dei 33 baroni” in memoria di quel periodo. A Lucera dovremmo anche pensare di dedicargli una via, se la Commissione Toponomastica lo permetterà mai.

Vi invito inoltre a pensare ai tantissimi altri episodi che hanno radici storiche documentate della Storia di Lucera. Specialmente il periodo di transizione tra svevi e angioini è davvero florido di cose che potrebbero essere raccontate: dalla vita dei saraceni, al loro rapporto con una zona a popolazione cristiana, alla costruzione della fortezza, alle moschee e le visite degli ambasciatori da tutto il mondo, alla presenza dei vescovi e il loro rapporto con la città. E questo solo per un lasso di tempo di circa 30 anni, per non parlare del periodo precedente e successivo che vide da una parte con Federico II un unicum straordinario di una colonia di musulmani a poche centinaia di chilometri da Roma con moschee, minareti e musulmani in preghiera, e dall’altro una città ricristianizzata per espressa volontà del Re che è in sostanza l’origine di cui oggi abbiamo sotto gli occhi. Potremmo anche parlare della storia romana, di Augusto, Cesare, Pompeo, Cicerone e tantissimi altri personaggi che hanno avuto rapporti tanto intensi quanto meravigliosi con la nostra terra. Se non vi basta, vi consiglio di guardare proprio su questo sito, dove sono stati raccolti gli eventi più importanti e interessanti di Lucera dall’età antica all’età moderna: https://www.luceramemoriaecultura.it/timeline/

E invece è sicuramente più facile trovare un “testimonial“, confezionare un pacchetto che mostri gli indubitabilmente meravigliosi nostri monumenti e dare in pasto ai social storie “fast food” che, il professor Raffaele Licinio che non smetterò mai di ringraziare per tutto ciò che mi ha insegnato, definiva “McDonaldizzazione della Storia“. La domanda è: vogliamo essere un McDonald o un ristorante che offra piatti unici, soddisfacenti e di qualità? Credo sia una riflessione da fare, ora che i giochi per la Capitale sono già stati definiti e delineati chiaramente fuori da Lucera, ma noi lucerini dovremmo avere voce in capitolo, come ci era stato detto durante tutto il 2024 ma che, a conti fatti, si è rivelato solo e solamente un altro specchietto per le allodole. Ricordo la lista lunghissima del “Comitato Tecnico-scientifico” di cui anche io farei parte, ma dall’annuncio in pompa magna, non sono stato convocato nemmeno una singola volta per poter discutere e dibattere su temi come questo.

Siamo ancora in tempo? Probabilmente no, ma sono sicuro che queste considerazioni siano necessarie e utili, e non siano solo “disfattismi” ma suggerimenti di riflessione.

Pinuccio ti voglio davvero bene, anche perché spesso ti sei occupato di questioni molto importanti della Capitanata, come lo stato di abbandono di Fiorentino, ma stavolta “t’hanne fregate“.

Alessandro De Troia

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