Spigolature dialettali. La regina Taitù
Da ragazzo sentivo spesso mia madre e le vicine di casa, quando si riunivano pe tagghjà (spettegolare), e volevano sottolineare che una donna di loro conoscenza era particolarmente altezzosa ed arrogante, esclamare: SE CRÈDE D’ÈSSE ‘A REGGÍNE TAITÚ? (Ma chi si crede di essere quella là, la regina Taitù?).
Nella mia ingenuità di ragazzino quel nome esotico mi faceva pensare a uno di quei racconti (nu cúnde) che nelle sere d’inverno gli adulti raccontavano attorno vrascíre (il braciere) a casa di mia nonna. Da adulto ho compreso che il dialetto lucerino è ricco di locuzioni e modi di dire che, spesso, chi li utilizzava fatica a comprenderne il significato e a conoscerne l’origine, perché il tempo ne ha cancellato la memoria.
Un’origine spesso fa capo a eventi storici da cui sono nate locuzioni, dettate dall’esigenza di esprimere concetti nuovi o particolari sensazioni, Nel nostro caso il riferimento era alla Guerra d’Abissinia (dicembre 1895-ottobre 1896), combattuta dall’Italia contro l’Impero d’Etiopia, a seguito della quale vennero coniate alcune locuzioni che ebbero come riferimento l’imperatore Menelik e sua moglie, la Regina Taitù Batùl Zehetiopia Berehan (Sole e luce di Etiopia). Si crearono nuovi modi di dire:
- SE CRÈDE D’ÈSSE ‘A REGGÍNE TAITÚ; (Si crede di essere la regina Taitù)
- SE VÉSTE CÚM’È ‘A REGGÍNE TAITÙ; (Si veste come la regina Taitù)
- A REGGÍNA TAITÙ, MENELICCHJE NN’A VÒLE CCHJÙ; (La regina Taitù, Menolicchio non la vuole più)
- ASSEMEGGHJE U MARÍTE D’A REGGINE TAITÙ (Sembri il marito della regina Taitù)
Tutti modi dire, entrati nel linguaggio comune, buoni per indicare una donna altezzosa e assai pretenziosa e il marito un uomo sottomesso.
Lino Montanaro