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Storia: alcune epidemie a Lucera

Tempo di pandemia questo che fino a qualche mese fa ci ha afflitto. L’umanità intera ne è stata colpita ed i morti si contavano a milioni. La storia, sempre lei, ci insegna che ogni tanto accade e quindi, non dovremmo meravigliarci. A Lucera, ad esempio, abbiamo testimonianze inequivocabili delle pestilenze passate, come quella che colpì la città dall’ottobre 1836: il colera.

Questo argomento è stato ampiamente trattato da Francesco Romice, nella sua pubblicazione “Il colera a Lucera, Capitanata e Regno di Napoli”. L’epidemia raggiunse la più alta diffusione proprio nell’estate del 1837, con circa 600 vittime. Come accaduto tante altre volte, i Lucerini chiesero aiuto a Santa Maria Patrona per porre fine al contagio. In tantissimi si ritrovarono il 12 e il 13 luglio 1837 a pregare davanti al simulacro della Vergine. Le cronache del tempo riportano che il simulacro della Vergine cambiò l’aspetto, mosse gli occhi prima in alto, poi verso il figlio, poi a destra e sinistra e poi verso i fedeli. Dopo questo evento prodigioso, il colera scomparve da Lucera. Il 13 luglio divenne festa della Madonna del Colera.

Cento anni dopo, nel 1937, in ricordo di tale prodigio si svolse a Lucera il Congresso Eucaristico Mariano, dal 12 al 17 di agosto.

Ancora, all’inizio dell’autunno del 1918 ‘a frèva malígne (la spagnola), il Covid dell’epoca, arrivò anche a Lucera. Il picco di contagiati e di decessi tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre fu di oltre quaranta morti al giorno, con un totale finale di quasi 500 morti. Il virus colpì ogni strato della popolazione con una particolare predilezione per i giovani in buona salute, mentre gli anziani non furono colpiti grazie alla presenza di difese immunitarie acquisite per epidemie precedenti.

Tra le vittime illustri ci fu anche il vescovo Lorenzo Chieppa, vescovo di Lucera dal 1909 al 5 ottobre 1918. Il presule fu colpito dalla “spagnola” all’età di 55 anni, fu colpito dalla “spagnola”. Il vescovo, nonostante le raccomandazioni prefettizie, non si era sottratto, in quei giorni ai suoi doveri pastorali.

Le autorità comunali lucerine non adottarono misure profilattiche particolari ad eccezione dell’isolamento dei malati gravi e l’uso di consistenti quantitativi di disinfettanti in ogni strada, piazza, vicolo di Lucera e la disinfestazione delle case.

Quando il numero dei decessi raggiunse l’apice, ci fu carenza di bare, per la cui costruzione venne utilizzato ogni tipo di legname disponibile, arrivando, alla fine, al trasporto dei cadaveri fino al cimitero.

Caso limite, evento tramandato oralmente, fu quello di una famiglia il cui padre, al ritorno a Lucera dopo un periodo di lavoro fuori, trovò i suoi nove figli tutti morti per l’influenza. Finalmente questa immane tragedia finì e la spagnola scomparve improvvisamente, probabilmente per una mutazione del virus in una forma meno letale, dimostrando che l’uomo è sempre sopravvissuto ai virus e alle epidemie.

Lino Montanaro

PER SAPERNE DI PIÙ
  • Francesco Antonio Romice, Il colera a Lucera, Capitanata e Regno di Napoli, Delta 3. Le cui copie si possono trovare, in tutte le librerie di Lucera e non.
  • Richard Collier, La Spagnola. Storia dell’influenza che cambiò il mondo

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