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Gli ultimi giorni di Guglielmo de Parisio

NEWS: Il fotoracconto ha avuto un riconoscimento tra i migliori 3 racconti ispirati al medioevo per il premio letterario Philobiblon indetto dall’Associazione Italia Medievale.

Premiazione del racconto al minuto 50:17

Un foto-racconto a puntate che racconta la storia degli ultimi giorni di Guglielmo de Parisio.

Guglielmo era un feudatario di Capitanata che, tra gli altri possedimenti, deteneva Pietramontecorvino e che ebbe stretti rapporti con la colonia musulmana di Lucera tra il 1268 e il 1269.

Note agli episodi

1 – Su Guglielmo De Parisio esistono diverse citazioni in tutti gli studi fatti nel periodo di passaggio tra la casata sveva e quella angioina. Ne fanno accenno il Del Giudice, Minieri Riccio, Pietro Egidi nella sua monumentale “La Colonia Saracena di Lucera e la sua distruzione”, Pier Fausto Palumbo nei suoi saggi sull’assedio di Lucera e pochi altri storici. Le fonti che citano Guglielmo sono principalmente i Registri della Cancelleria Angioina ma non mancano anche segnalazioni nei registri Vaticani. Un piccolo studio sul passaggio dei feudi dei De Parisio ai maggiorenti di Carlo I è stato curato da Alessandro De Troia per la rivista “La Capitanata” edita dalla Biblioteca Provinciale di Foggia nel 2012 dal titolo “Guglielmo de Parisio. Un esempio di successione feudale in Capitanata nella transizione svevo-angioina”.
2 – L’itinerario di Carlo I si può desumere dai Registri Angioini così come tutte le vicende di quegli anni. Esistono comunque alcune cronache che fanno riferimenti espliciti all’assedio. Robbertus de Alamanno è un personaggio realmente esistito, ed è citato nel Quaternus de excadenciis et revocatis infrascriptorum locorum Iusticiariati Capitinate, ovvero il “quaderno delle scadenze” compilato dai funzionari di Federico II verso la metà del XIII secolo, in cui venivano annotati i beni demaniali che dovevano essere recuperati dalla Corona in quanto di sua esclusiva proprietà. Roberto nella fattispecie deteneva una casa a Fiorentino, il luogo dove diversi mesi dopo avrebbe perso la vita l’Imperatore.
3 – L’estetica dei giardini arabi è da sempre legata all’idea del paradiso coranico, dono di Allah per i beati. Il giardino, geometrico e ben ordinato, inoltre, rappresenta la civiltà, la sedentarietà, fortemente contrapposta al paesaggio uniforme del deserto in cui l’essere nomadi è il segreto della sopravvivenza. Rappresentazioni iconografiche delle donne che suonano il liuto e delle danzatrici ci vengono date da diversi reperti di cofanetti dell’Africa settentrionale e della Sicilia e sono inoltre visibili sugli affreschi della Cappella Palatina di Palermo. Il kohl (dall’arabo كحل‎, kuḥl) che la ragazza saracena utilizza sugli occhi, è una polvere nera composta da antimonio, polvere di argento, erbe e canfora, che veniva applicata sulla rima ciliare tramite un bastoncino di legno o di vetro. Il kohl smorzava il riflesso del sole del deserto e preveniva le infezioni oculari grazie ai suoi ingredienti. Lo stesso Messaggero di Allah, Maometto, consigliava di applicarlo prima di andare a dormire.
4 – Sulla colonia musulmana di Lucera lo studio di Pietro Egidi già citato è sicuramente una fonte irrinunciabile, ma nel tempo si sono susseguite le scoperte: sono state approfondite le ricerche e persino studiosi fuori dai confini italiani hanno perfezionato la conoscenza della città abitata dagli adoratori di Allah. È il caso di Julie Anne Taylor e del suo libro “Muslims in Medieval Italy: The Colony at Lucera”. Il riferimento ai “Compagni” (Compatres) appare in una cronaca del Duecento in cui un nobile partigiano svevo, catturato dalle truppe guelfe, vedendo passare un drappello di saraceni, implorò aiuto chiamandoli proprio in quel modo. Proprio sui rapporti tra Cristiani e Musulmani nella Capitanata del Duecento l’Istituto Storico Germanico di Roma sta conducendo da anni un importante progetto che ha visto la scoperta di alcune sepolture musulmane nel feudo di Tertiveri, a pochi chilometri da Lucera. Anche l’Università di Foggia da anni conduce scavi nella vicina Montecorvino, città di Sant’Alberto. Inoltre il breve saggio “Presenze Cristiane e Musulmane nella Lucera del XIII secolo. Nuove ipotesi e spunti di ricerca” scritto nel 2012 ha segnalato come ci fossero stretti rapporti tra la colonia e i partigiani degli svevi. L’ultima annotazione è che i saraceni di Lucera pare parlassero anche in italiano volgare e a dircelo sono le missive scambiate tra Federico II e il Papa Gregorio IX.
5 – Gli Annali Piacentini Gibellini, fonte sicuramente di parte ghibellina, riportano che tra il 14 o 15 Giugno del 1268, le fortificazioni in legno, costruite al di fuori delle mura della città sotto assedio, furono bruciate e la sortita ebbe come effetto la ritirata degli assalitori a Foggia. Che sia avvenuta o meno questa sortita, il fatto che Corradino fosse arrivato a Roma e si stesse avviando verso il Regno di Sicilia rappresentava un ottimo motivo per Carlo d’Angiò per abbandonare l’assedio e dirigersi con il grosso delle truppe verso il giovane rampollo svevo. Il riferimento all’astrolabio è dovuto ad una cronaca di un ambasciatore egiziano, che presso la corte di Manfredi nel 1261 sostò a Lucera e vide una costruzione voluta dall’Imperatore Federico II, cioè “un istituto scientifico, perché vi fosse coltivato ogni ramo delle scienze speculative”. È indubbio l’apporto dato dagli arabi nella riscoperta delle teorie greche e alla trasmissione della cultura indiana e alle nuove scoperte in ambito matematico e medico; è corretto ipotizzare che anche a Lucera si studiassero le scienze come ad esempio il magnetismo, l’astronomia, la matematica e la medicina.
6 –
Guglielmo de Parisio è scomunicato ufficialmente in due lettere di Papa Clemente IV il 5 Aprile e il 28 Maggio 1268 insieme ai maggiori nobili che parteggiavano per Corradino tra cui Galvano e Federico Lancia, Guido Novello, Corrado di Antiochia (nipote di Federico II) e altri. Guglielmo era accusato di perorare la causa di Corradino e di aver cospirato con i Saraceni di Lucera. Il padre di Guglielmo, Ruggero de Parisio, è citato in diversi documenti della prima metà del XIII secolo e nella cronaca dello pseudo-Jamsilla durante il Regno di Manfredi in cui accompagnò le truppe pontificie a Troia, a pochi chilometri da Foggia contro l’esercito di Manfredi, stanziato a Lucera. Questa operazione gli consentì di ricevere, oltre alla conferma dei beni ereditati, anche nuove terre, tra cui Castel Fiorentino, il luogo dove pochi anni prima era morto l’Imperatore Federico II. Il culto di Sant’Alberto è molto antico. Era vescovo di Montecorvino, un insediamento oggi abbandonato la cui fondazione viene collocata dagli storici nell’XI secolo. Attualmente è oggetto di una campagna pluriennale di scavi archeologici da parte dell’equipe del Prof. Favia e della Prof. Giuliani dell’Università di Foggia. La tradizione vuole che il vescovo Alberto sia stato sepolto proprio nella sua città. Dalla fine dell’Ottocento, il 16 Maggio, ogni anno a Pietramontecorvino si svolge la festa dedicata a questo santo. I cittadini percorrono circa dieci chilometri a piedi da Pietramontecorvino fino ai resti della cattedrale di Montecorvino portando a spalla la statua del santo e dei pali alti oltre 10 metri addobbati con nastri colorati.
7 – Il 12 Febbraio 1268 Clemente IV invia una lettera al cardinale Rodolfo (Raoul de Grosparmy), vescovo di Albano, per iniziare la predicazione della crociata contro i Saraceni di Lucera. Inoltre al cardinale Eudes di Châteauroux è affidato il compito di redigere ben 3 sermoni, oggi ancora superstiti e studiati da Cristoph T. Maier, che dovevano essere divulgati in tutto il Regno a sostegno di questa impresa. Corradino è definito “Regulus”, il diminutivo di “Rex”, un po’ come suo nonno Federico era definito dai tedeschi guelfi in gioventù “Puer Apuliae”, il giovincello del sud che pretendeva la corona. Lo stupendo borgo di Pietramontecorvino, tra l’altro citato nei “Borghi più belli d’Italia”, nel suo apparato architettonico comprende tre perle: la Torre che gli studiosi definiscono di costituzione normanna, il palazzo Ducale di cui non si conosce la data di costruzione precisa ma che può ricondursi all’epoca medievale, e la chiesa Madre che ha subìto diverse modifiche nel tempo, persino un capovolgimento degli ingressi e del presbiterio.
8 – Dopo una discesa a tappe forzate passando per la Toscana e per il Lazio facendo tappa a Roma, Corradino decise di entrare nel Regno dall’Abruzzo. Il 23 Agosto presso Scurcola Marsicana ci fu la battaglia detta di Tagliacozzo. Manfredi durante gli scontri con Papa Innocenzo IV nel 1254, capì la fondamentale importanza di avere accesso al tesoro del Regno e soprattutto a delle truppe fedeli e numerose, visto che il suo esercito si stava sgretolando a causa delle paghe mancate. Lo pseudo-Jamsilla nella sua cronaca coeva descrive l’arrivo di Manfredi a Lucera in quel momento, paradossalmente, sotto il controllo del Papa che controllava il suo maggiore esponente, Giovanni Moro, anche costui un saraceno. Sulle “domande” di Manfredi, il riferimento in realtà riguarda il padre, Federico II che soleva intrattenersi a corte (ed è presumibile lo facesse anche Manfredi) ponendo quesiti ad astrologi, matematici, filosofi. Inoltre questi quesiti venivano inviati dagli ambasciatori anche fuori dal Regno di Sicilia sia ad Occidente in Spagna fino all’Oriente, arrivando fino in Egitto, Siria e Iraq. Particolarmente interessante è una lettera di risposta da parte di un filosofo musulmano, tale Ibn Sab’in, che riteneva sostanzialmente le “questioni” dell’Imperatore mal poste ma che gli avrebbe fatto comunque il favore di rispondergli.
9 – La battaglia di Tagliacozzo si svolse alla fine dell’Agosto del 1268 e vide vincitore il Re Carlo d’Angiò grazie alla sua abilità tattica e grazie ad alcuni stratagemmi fuori dagli schemi cavallereschi usati durante la battaglia. Per l’Angioino ovviamente il fine giustificava i mezzi e il risultato fu la completa disfatta dell’esercito comandato dal giovane Svevo, che allora aveva 16 anni, il quale si diede alla fuga con pochi fedelissimi. Qualche mese dopo, ad ottobre, Corradino fu catturato, portato a Napoli e giustiziato nell’odierna piazza del Mercato.
10 – Le notizie delle ribellioni in tutto il Regno di Sicilia, come per quella di Lucera, provengono ovviamente da fonti esterne ad esse. Registri angioini, registri della Curia Pontificia e cronache ne delineano gli eventi. Di particolare interesse sono gli studi di Del Giudice, Palumbo e De Grazia. Tommaso faceva parte della famiglia dei Gentile, di rilevante importanza sotto tutti i sovrani svevi, che deteneva feudi dall’Abruzzo e dal Molise fino alla Terra d’Otranto, passando per il barese. Era insignito del titolo di “Magnae Regiae Curie Magister justitiarius” a cui era affidato il compito di vigilare sull’amministrazione della giustizia e decidere sulle liti pendenti nei tribunali locali. Arnoldo di Ripalta, fedelissimo della causa sveva, è citato tra i documenti angioini come ribelle nella città di Brindisi che aveva aizzato contro il Re. Corrado Capece è ricordato tra i principali ghibellini del Mezzogiorno medievale e si occupò di tessere i rapporti per la discesa di Corradino in Italia, si recò a Tunisi per rimpinguare le fila dell’esercito e comandò le truppe sbarcate in Sicilia durante il tentativo di riconquista del Regno. Il riferimento alla missiva riguarda la disperata lettera inviata da Corrado nell’estate del 1269 al marchese ghibellino Uberto Pallavicino nell’Italia Settentrionale, quando quest’ultimo era già deceduto da qualche mese. Con una lettera del 28 Ottobre 1268 da Viterbo il Papa chiedeva al Re di aspettare l’arrivo del Duca di Borgogna e delle sue armate prima di avvicinarsi alla città di Lucera, visto che il Camerario Pietro di Belmonte aveva avuto uno scontro con i saraceni nelle terre vicine. Altri dettagli vengono dagli Annali Piacentini Ghibellini in cui si parla di 1000 cavalieri messi in fuga presso Foggia.
11 – Corradino fu catturato diversi giorni dopo la battaglia di Tagliacozzo tradito da un nobile romano che lo consegnò a Carlo d’Angiò mentre il giovane svevo stava per salpare verso la Sicilia. Il 29 Ottobre 1268 Corradino e i suoi fedeli venivano giustiziati. A novembre, Carlo si sposta a Trani dove sposerà Margherita di Borgogna e alla fine dello stesso mese Papa Clemente IV spirava a Viterbo.
12 – Il 15 Dicembre 1268 Carlo primo emana lo pubblicare lo “statutum contra proditores eorumque bona” nel quale legittimava che si procedesse senza pietà contro tutti coloro che si erano sollevati e non avevano voluto servirsi dell’offerta di amnistia. Oltre alla confisca dei beni lo statuto stabiliva anche come tutti i funzionari dell’esecutivo dovessero procedere contro i ribelli riconosciuti, e obbligava ogni abitante del Regno al supporto e alla collaborazione attiva. Il destino dei primi malcapitati fu veramente cruento. Nessun processo, tortura e poi impiccagione. Un esempio della brutalità a cui andavano incontro coloro che si erano ribellati è una lettera di Carlo del 16 Novembre 1268 in cui ordina che Gervasio di Matina, catturato a Brindisi, venisse accecato, poi trascinato per la città legato ad un cavallo, e poi impiccato. Esiste infine un riferimento nel Liber Regiminum Padue alla fuga di Guglielmo de Parisio, riportata dal Palumbo, in cui viene specificato che Guglielmo voleva raggiungere Brindisi per raggiungere la Grecia. Alla vigilia di Natale del 1268 Carlo arriva a Foggia per radunare l’esercito e tutto il necessario per l’assedio della città di Lucera.
13 – La lista dei possedimenti dei de Parisio è in un documento papale del 1255 in cui Papa Alessandro IV, forse a seguito degli eventi narrati nella cronaca dello Pseudo-Jamsilla, conferma e amplia le terre, i casali e i castelli di Ruggero de Parisio, padre di Guglielmo. Dall’analisi dei successivi documenti angioini pare evidente che la lista resterà sostanzialmente invariata anche con il figlio di Ruggero (vedi A. De Troia, “Guglielmo de Parisio. Un esempio di successione feudale in Capitanata nella transizione svevo-angioina”). Documenti successivi a Dicembre parlano di truppe saracene sparse per tutta la Capitanata arrivando persino fino a Termoli. Tra questi uno descrive saraceni a Pietra e altri due a Castelnuovo della Daunia(FG). In questa città esistono ancora testimonianze dei De Parisio. Un’epigrafe gravemente danneggiata è incassata nel muro del palazzo di fronte al palazzo comunale. Da anni si chiede che questa venga recuperata (http://www.pugliaindifesa.org/segnalazioni-gennaio.html) ma nulla per ora si è mosso. Dal Dicembre del 1269 Carlo d’Angiò inizia da Foggia l’organizzazione di un assedio più strutturato, meno d’impatto, con l’obiettivo di chiudere ogni possibile via d’uscita e di entrata dei saraceni da e per Lucera. La realizzazione si concretizzò con la costruzione di un castrum in legno tra Lucera e Foggia da cui il Re personalmente gestirà gli affari del Regno e dell’assedio. ‘Abd salām, Abdisselem nei documenti, è uno dei tanti nomi dei saraceni che ci sono tramandati nei registri angioini. Una raccolta esaustiva è stata fatta da Cassar e Staccioli nel loro libro “L’ultima città musulmana: Lucera”. La traduzione del nome, per l’appunto, significa “servo della pace”.
14 – Lucera si arrenderà a Carlo I il 27 Agosto 1269 stremata dalla fame e dagli stenti. I capi musulmani e i cristiani che avevano aiutato i saraceni furono giustiziati mentre la città con i suoi abitanti fu ampiamente risparmiata, scatenando le ire dei cronisti contemporanei che imputavano al Re di Sicilia di favorire i musulmani rispetto ai cristiani. Carlo d’Angiò aveva colto come Federico II il potenziale enorme della folta colonia di saraceni e nella sostanza perseguì in maniera più ristretta l’opera dello Svevo. Suo figlio Carlo II invece nell’anno del primo giubileo decise in accordo con il Papa di annientare la colonia, ucciderne gli abitanti e di vendere come schiavi i sopravvissuti. Le donne saracene utilizzavano essenze senza contenuto alcolico per non contravvenire alle leggi coraniche. Non era raro che sostanze profumate come incenso, ambra grigia, muschio animale e fiori venissero inserite nelle collane portapreghiera che venivano portate al collo. Sulla fine di Guglielmo de Parisio i documenti della cancelleria angioina sono chiari: fu catturato mentre scappava verso Brindisi e confessò alcuni dettagli sulla ribellione nel Regno. Fu probabilmente prima di subire la pena capitale che fu torturato e per sfuggire ad ulteriori supplizi gli fu estorta la confessione.
15 – Tutti i feudi di Guglielmo de Parisio, tra cui Pietramontecorvino, furono dati a Jean de Britaud, Vicario Generale per Carlo I in Toscana fino al marzo 1270, che sconfisse le truppe ghibelline Senesi a Colle Val d’Elsa nel giugno del 1269. Tale pesante vittoria e la sua abilità politica gli consentirono di ottenere il favore del Re che lo premiò con molti possedimenti. Tra i ribelli di Brindisi e Gallipoli catturati appaiono le maggiori famiglie che parteggiavano per Corradino: i da Matino, i da Ripalta, i Gentile, Goffredo di Cosenza e tanti altri per un totale di 73 personalità di spicco della nobiltà ghibellina del Regno di Sicilia.
16 – L’omaggio di questo episodio va al romanzo “Santajusta” di Alfredo Pitta, scritto nel 1936 per la casa editrice Sonzogno di Milano, che descrive le gesta di Federigo da Montecorvino, un nostrano Robin Hood, proprio durante i fatti del 1268-69. Chi scrive deve lo studio su Guglielmo de Parisio proprio a questo romanzo perché grazie alla passione e alle emozioni trasmesse ha consentito di approfondire la ricerca delle tracce di Federigo (personaggio notoriamente inventato) che amava sostare tra le fronde della secolare quercia che portava il suo nome, Santajusta, ormai andata distrutta nel 2011. Nonostante non si sia mai capito se Alfredo Pitta si sia ispirato alla storia di Guglielmo de Parisio, un documento del 1293 della cancelleria angioina riportato dall’Egidi nel Codice Diplomatico dei Saraceni di Lucera parla proprio di un Fredericus de Parisiis, fratello di Guglielmo “condannato all’ultimo supplizio”, perdonato poi da Carlo II d’Angiò. Peculiarità del documento è che non è possibile leggerlo fino alla fine perché la parte finale fu tagliata in secoli successivi e l’archivio angioino fu dato alle fiamme dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Un mistero che probabilmente non verrà mai più risolto.
17 – Opera di Costantino Postiglione dedicata alla vita di Guglielmo de Parisio

Le immagini fanno parte di un progetto realizzato da Alessandro De Troia (ricerca storica e testi) e Alisia Tortorella (foto, editing e testi) con la collaborazione di Michele Giardino.

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