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“Fare il corredo” a Lucera

La parola “CURRÉDE”, cioè l’insieme dei capi di biancheria, vestiario ed altro, che una sposa portava con sé nel momento delle nozze, ci riporta indietro nel tempo, in un tempo che a tanti di noi ci è appartenuto, quando non averlo era per una ragazza lucerina una vera e propria tragedia, un ostacolo nel trovare un marito.

Ogni famiglia, indipendentemente dall’estrazione sociale, non si faceva trovare quasi mai impreparata perché per ogni figlia femmina si cominciava a fà u curréde (fare il corredo). Fin dalla tenera età la preparazione del corredo occupava tutta l’infanzia e l’adolescenza di una ragazza. Con grandi sacrifici, un po’ per volta, conservando amorevolmente i vari capi e pezzi nd’a cassce d’a bbiangaríje (nella cassa della biancheria), senza lavarli né stirarli, ogni famiglia ci teneva a fare bella figura, con la famiglia dello sposo ma anche con tutta il resto della popolazione lucerina.

Nei tempi passati, lenzuola, coperte, asciugamani ed altro erano filati a mano e adornati dai ricami. In epoche più vicine ai nostri giorni, buona parte del corredo era acquistata dai cosiddetti “viaggiatori” che proponevano un vasto assortimento di pezzi a prezzi convenienti.

Ovviamente la consistenza e la qualità del corredo erano legate ai mezzi economici della famiglia della sposa: curréde a séje, a otte, a ddùdece, a vindiquatte (corredo a sei, a otto, a dodici, a ventiquattro).

Il corredo era completato da camicini, cuffiette in pizzo per i neonati, calze lunghe lavorate a ferri, collettini e guanti traforati fatti a uncinetto, oltre una serie di scatoline con pettini e spazzole, e astucci, un tempo indispensabili e di cui oggi si fa fatica a capire a che cosa servissero.

Nelle famiglie più ricche il corredo era composto di: dodici coperte, ventiquattro lenzuola di sotto e ventiquattro di sopra di puro lino ricamate a mano, ventiquattro semplici, trentasei coppie di federe, dodici asciugamani di tela più sei per gli ospiti, dodici tovaglie d’organza più sei per tutti i giorni e così via.

Ovviamente, nelle famiglie del popolino lucerino, i pezzi portati in dote e la qualità dei tessuti erano decisamente più limitati, famiglie che, comunque, non esitavano ad indebitarsi pur di preparare un adeguato corredo alle loro figliole.

Nelle famiglie benestanti la preparazione del corredo era affidata a ricamatrici o, addirittura, alle suore, mentre in quelle più umili il lavoro era svolto completamente in casa.

Nelle case con più figlie vigevano ferree regole di imparzialità, rigidamente seguite e ognuna delle figlie. aveva diritto a un trattamento identico.

Circa dieci giorni prima del matrimonio, preceduta dalla tradizione della “lavate e sterate” del corredo,  si procedeva all’esposizione in bella mostra d‘a rrobbe d’a spose(del corredo), che la madre della sposa sistemava su tavoli, mobili o piani d’appoggio creati per l’occasione. Quindi, rendendo pubbliche le possibilità economiche della famiglia, s’invitavano il vicinato, parenti e amici per mostrarglielo, che accorrevano a fare gli auguri alla famiglia e anche ad apprezzare la quantità e la qualità del corredo (‘a ggènde jéve apprezzà u curréde). Più il corredo era ricco e più dava valore alla sposa, ma qualche volta succedeva che esso non soddisfaceva la mamma dello sposo e si arrivava anche alla rottura del fidanzamento ed all’annullamento delle nozze.

Poi, il corredo veniva portato nella futura casa degli sposi ove, nello stesso giorno, si preparava il letto della sposa.

A volte, malinconicamente, il corredo giaceva per tutta la vita nd’a cassce d’a bbiangaríjeperché la ragazza rimaneva zitella.

Oggi è in uso, da parte delle rispettive famiglie, dare ai futuri sposi poche lenzuola, asciugamani e tovaglie, preferendo “aiutarli” nelle enormi spese per il ricevimento, il pranzo e l’acquisto della casa.

Lino Montanaro

PER SAPERNE DI PIÙ

  • Lino Montanaro, Lino Zicca: Lucera di una volta, Catapano Grafiche, 2021

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