Antropologia & Arte,  Memoria

Pasquale Soccio: una rete di relazioni per leggere e scrivere

La figura di Pasquale Soccio (San Marco in Lamis 1907-2001), maestro, docente di storia e filosofia, preside del Liceo classico Bonghi di Lucera per 25 anni, è consegnata da una parte alla sua incisiva e vasta azione educativa, culturale e civile, e dall’altra alle sue numerose pubblicazioni, tra le quali: Gargano segreto (1965); Unità e brigantaggio in una città della Puglia (1969); Lucera minore (1979); G.B. Vico, Autobiografia. Poesie. Scienza Nuova (1983); Avventura educativa. I ragazzi di strada a San Marco in Lamis negli anni trenta (1998); Penso dunque invento (2000).

Parlare del preside Soccio a chi lo ha conosciuto è difficile perché ognuno ne conserva, gelosamente,  un ricordo particolare avendo Soccio con ognuno stabilito un rapporto speciale… parlarne a chi non lo ha conosciuto, evocandone la figura e i tempi,  è altrettanto difficile per il diverso contesto relazionale e culturale odierno, soprattutto è difficile avendo deciso io di trattare da una parte ciò che per definizione è indicibile appunto il curricolo “nascosto” di Soccio educatore e guida culturale e dall’altra del modo in cui Soccio, non vedente dai primi anni sessanta, negli ultimi quaranta anni della sua vita ha saputo comporre e pubblicare lavori strutturati e complessi, “in collaborazione” con numerosi “lettori”, leggendo e scrivendo per interposta persona.

Il curricolo “nascosto” di Pasquale Soccio

Scopo del mio intervento è scoprire con voi il segreto del successo formativo  del Preside Soccio (oggi proverò a dire solo: Soccio): quali sono stati, per così dire, gli “ingredienti”  dell’azione educativa del Nostro? Dando per ben nota la sua straordinaria competenza disciplinare (e in ogni ambito del sapere, umanistico e scientifico), Soccio ha svolto infatti  una impareggiabile  funzione di guida culturale nei confronti dei suoi alunni, dei docenti, della Capitanata e non solo. Faccio mia la distinzione, frequente nella letteratura pedagogica contemporanea, tra curricolo esplicito e curricolo implicito:

“Nei processi di apprendimento e nelle relazioni formative e educative esiste un curricolo esplicito o ‘scoperto’ (ciò che è più immediatamente visibile, valutabile e modificabile; le scelte intenzionali del docente in merito agli obiettivi, ai contenuti e alle metodologie della propria azione didattica) e un curricolo implicito o ‘nascosto’ perché composto da tutto ciò che le persone coinvolte a vario titolo nel lavoro scolastico portano come loro contributo in termini di convinzioni, atteggiamenti, aspettative, motivazioni. Curricolo implicito (hidden curriculum) è un termine che fa riferimento alla presa di coscienza – negli ultimi decenni – del valore formativo di quelle dimensioni dell’azione didattica generalmente non tematizzate dagli insegnanti e prive di una esplicita intenzionalità progettuale” (MIUR, Progetto I CARE, Giulia Caminada, 10/06/2010).

Curricolo esplicito:
  • la programmazione educativa e didattica (il programma da svolgere giorno per giorno)
  • gli obiettivi cognitivi e sociali dichiarati
  • i contenuti
  • la metodologia
Curricolo implicito:
  • la relazione educativa
  • lo stile di insegnamentoil valore “interno” dell’insegnamento
  • il clima di classe
  • l’uso didattico dello spazio/aula
  • il metodo di studio
  • condividere il gusto della scoperta
  • condividere il bisogno/piacere della lettura e della conoscenza in generale
  • condividere le procedure della ricerca
  • allestire ambienti fisici e virtuali per l’apprendimento
  • la motivazione
  • l’uso consapevole della didattica e della metodologia
  • il non verbale (gestualità, prossimità, tono della voce, ecc.)
  • la passione educativa
  • suscitare emozioni: non c’è infatti apprendimento significativo senza emozione

Alcune testimonianze di alunni

Giuseppe Cassieri

Uno dei più interessanti e raffinati scrittori del novecento (Rodi Garganico 1926 – Roma 2008), studia Lucera presso il Liceo Bonghi. “Soccio ha avuto un merito particolare nei miei confronti: io stavo per abbandonare (la scuola) per una di quelle crisi che tanti ragazzi a 15 o 16 anni, per una ragione o per un’altra,  avvertono. Improvvisamente mi ero disamorato della scuola. Ero Convittore presso il Convitto “Bonghi” [19242/43] ed una mattina, dopo aver disertato per oltre un mese il Liceo e restando tutto il giorno in camerata, una mattina appunto scesi senza aspettarmi nulla … e Soccio stava parlando di Socrate. Io l’ascoltai: ci sono conversioni decisive nella vita (non c’è bisogno di ricordare San Paolo):  per una serie di motivi succede che in noi qualcosa cambia, quel che non c’era , c’è,  e facciamo come una “rettifica”, quasi un “tagliando”, nel momento meno atteso. Risalgo quello stato di abbandono e mi butto a seguire Soccio nella filosofia, al punto che Soccio mi dava otto quando per lui cinque era il massimo.  A Soccio io devo una conoscenza anticipata della letteratura italiana che molti professori specifici non avevano. Data la libertà che il Rettore mi concedeva, uscivo il pomeriggio e andavo in Vico Carpentieri dove abitava: io trovavo sul suo tavolo Montale, Quasimodo, Ungaretti. Io mi nutrivo, oltre che delle lezioni di filosofia, di un sapere che sarebbe stato prezioso nei miei studi successivi. Questa gratitudine verso Soccio non è mai venuta meno. Il caso poi ha voluto che Soccio sia divenuto un amico in seguito”. (Giuseppe Cassieri, il 10 novembre 2006, al Convitto “Bonghi” in occasione della presentazione, a cura di Paolo E. Trastulli,  del suo Scommesse ed altri racconti – Manni, Lecce, 2006; trascrizione da nastro priva di autorizzazione). Vale ricordare a proposito di questa svolta descritta da Cassieri, una vera “conversione”, quanto argomenta Massimo Recalcati nel suo L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento –  Einaudi, Torino, 2014 – per la sua esperienza personale negli anni settanta in un Istituto Agrario di Milano

     Nel 1987, venti anni prima, per la raccolta di studi in occasione dell’ottantesimo di Pasquale Soccio, Cassieri aveva scritto: “Da oltre quattro decenni conosco e frequento (oh sì, con i ritmi che davvero non corrispondono al mio desiderio) Pasquale Soccio, e ne avverto il benefico influsso anche sulle lunghe distanze. Ieri come oggi. Da Lucera, dove ebbi il privilegio di seguire le sue lezioni di storia e filosofia (nonché di letteratura moderna e modernissima fuori dai banchi di scuola) a San Marco in Lamis, nelle cesure arcaiche del ‘bosco’, come lui chiama il suo piccolo podere sulla strada di San Nicandro, o lungo il litorale garganico dove sono nato (e dove non vorrei morire dopo i ripetuti stupri urbanistici), o a Foggia, a un passo dalla reale dimora federiciana, spaziando dal balcone giroscopico verso il Sub-Appennino o sul Tavoliere. Sempre – intendo dire – traggo dalla sua conversazione arguta e filtratissima una curiosità bibliografica, l’avvio di una ricerca, uno stimolo che prima o poi si tradurrà in personale forza d’urto” (Della Capitanata e del Mezzogiorno, Studi per Pasquale Soccio, a c. di Antonio Motta, Lacaita, Manduria, 1987, p. 206).

Paolo Trastulli

Nato a Civitella d’Agliano – Viterbo –  nel 1932, alunno dell’ultima “nidiata” di Soccio docente che divenne nel 1950 preside dello stesso Liceo per un quarto di secolo. Trastulli ha insegnato al Bonghi dal 1957 al 1966 (avendo Soccio come preside), quindi a Roma dove si è occupato molto di orientamento scolastico e universitario nonché di arte e pittura in particolare. Trastulli chiarisce bene nel suo saggio “La cultura a Lucera al tempo di Soccio”, in Pasquale Soccio. Una vita per Lucera, Edizioni del Rosone, Foggia, 2004, pp. 31-33) il ruolo di guida culturale e di educatore nei confronti degli alunni e dei docenti stessi:  “Lui ha consentito a chi gli è stato vicino di imparare, se interiormente disposto, a bene intendere cosa voglia dire essere e farsi ‘intellettuale’ (o comunque avvicinarsi al concetto contenuto nel termine): metodo, acribia, insaziata curiosità dell’intelletto, inintermesso confronto con i testi e le interpretazioni: e, di più, approdare ad una determinata concezione della cultura, quella che riconosco essere quale io, suo amanuense assiduo, mi ritrovo dentro ed a cui so di essermi poi naturalmente riferito in tutte le scelte essenziali che nella vita sono stato chiamato ad operare. E a cui di continuo, in sostanza, ancora mi riferisco. Insomma, uno stigma, un sigillo”  (…) “Giusto ed inevitabile mi pare collocare a questo punto la considerazione intorno al ruolo che il preside Soccio ha avuto in quella sua sala della Presidenza, luogo fisico e insieme luogo dello spirito, dove coloro che gli sono stati più vicini (continuando a fare per affetto, per suggestione, per devozione, gli amanuensi puri e semplici, incapaci per altro di negarsi alle richieste per lui ovvie e naturali – e spesso tacite quando non, al contrario, addirittura imperiose – di collaborazione)  sono cresciuti fino a divenire a loro volta con dignità e diverso successo anch’essi in varia misura e in altri luoghi formatori e mentori di altri apprendisti stregoni. La rivedo ancora, quella stanza per tanti anni da me frequentata, con un tavolo immenso al suo centro (ben mi spiego come’egli abbia poi voluto replicarlo nel suo solatìo studio foggiano); in quel luogo era la plancia di comando, il cuore pulsante e l’intelletto agente del nostro liceo di un tempo, ma anche, se posso dirlo, il pensatoio della città, luogo in cui ad angolo giro un sonar instancabile, un’implacabile radar, un periscopio sapiente scrutava e scandagliava il circostante mondo nazionale e internazionale della cultura. Anche con l’ausilio, per dirla tutta, di un numero tale di riviste, riferite a tutti i rami del sapere contemplati nell’indirizzo specifico degli studi classici, in dotazione per dono o per abbonamento alla biblioteca del liceo, da fare invidia a più facoltà universitarie messe insieme; e che, posso ben dirlo io che ho avuto al ‘Bonghi’ la fortuna di ‘fare’ il bibliotecario per tutto il tempo in cui v’ho insegnato, puntualmente consultava, leggeva e faceva oggetto di assiduo studio solo lui, o quasi, pur rimanendo, questa preziosa miniera, tutte le mattine di scuola e due volte alla settimana anche di pomeriggio, a completa disposizione di professori, studenti e studiosi, non sempre così solleciti, per la verità, alle lusinghe che potevano venirne. Dietro quel grande tavolo, dunque, il preside trascorreva le sue giornate (l’intera mattina e il pomeriggio fino a sera, talvolta anche la domenica mattina, vigile scudiero pomeridiano e domenicale assai spesso Raffaele Tozzi, Luzzill’, il bidello capo, o qualche altro suo fedelissimo), giornate impostate tutte su rigorosi ritmi e modelli kantiani; in tanti anni poche volte l’ho visto dietro la scrivania ‘ufficiale’, dove al più posava la sua borsa contenente, per prudenza … anche questa kantiana, l’immancabile ‘coppola’; i documenti e le ‘carte’ le firmava usando un altro piccolo tavolo collocato presso una delle sue grandi finestre da cui immediata e forte pioveva la luce sui suoi occhi via via più stanchi e come abbacinati, che con gli anni andava sempre più avvicinando al foglio, fin quasi a sfiorarlo invano”.  Per Trastulli: “Il fascino della cultura è stato, a mio avviso, quello che ha dominato sempre, oltre che la sua vita, la sua azione di docente, di preside e di promotore del sapere. Devo dire, oltretutto, che questa conferma del valore interno al suo insegnamento e di cui noi allievi ci siamo resi conto solo durante o al termine della nostra attività professionale, io la ricavo anche da altre testimonianze “  (ibidem).

Ma, come faceva lezione il prof. Soccio?  E’ opportuno rifarsi ancora a Paolo Trastulli che, per esperienza diretta da alunno e per competenza professionale specifica da docente, può ben evidenziare le caratteristiche della lezione di Soccio: “Si debbono fare alcune differenze tra il modo in cui egli affrontava nell’insegnamento i temi di filosofia e quelli di storia. (…) La lezione di filosofia (architrave di tutto il sapere per Soccio, ndr) era asciutta, puntuale, di assoluta essenzialità, modulata su un linguaggio scarno, efficace, sviluppata senza troppe concessioni alle discussioni o alla libertà di interpretazione. Dati da raccogliere ora, da metabolizzare più tardi. (…) Sempre per ciò che riguarda la filosofia le sue interrogazioni erano egualmente ascutte, perentorie, trancianti. (…) Per la storia sceglieva un altro tipo di approccio (…). Qui Soccio aveva da mettere in campo eccezionali abilità didattiche, scaltrita conoscenza dell’anima giovanile (aveva iniziato facendo il maestro in Molise) e delle tecniche appropriate per facilitare l’apprendimento, intuizioni psicologiche che ci sorprendevano sempre, prendendoci spesso in contropiede. Cercava, cioè, di accendere in noi una passione e con essa la conseguente curiosità intellettuale perché capiva, e questo l’ho sempre personalmente detto anche io e con maggior insistenza continuo a dirlo tuttora, che senza l’emozione non si impara! (…) Soccio sapeva anche  sceneggiare le lezioni (…) in particolar modo nell’insegnamento della storia, Soccio operava attraverso la più o meno scoperta sollecitazione del sentimento [Franco Di Bitonto nel suo contributo ricorda come un lunedì memorabile Soccio entrasse in classe alla prima era e seccamente dicesse “oggi non si fa lezione, né di storia né di filosofia”; nel pomeriggio di domenica 4 maggio1949 c’era stato l’incidente aereo in cui era scomparso il Torino, grande squadra di calcio; e Paolo Trastulli ricorda la lezione avviata con un “toc- toc” a segnalare l’arrivo di Manfredi a Lucera e la sua richiesta di ospitalità all’interno del Castello (1254)] (…) Sono questi ‘i trucchi’, chiamiamoli banalmente così, che il docente-educatore deve attuare per poter colpire l’immaginazione, per carpire l’attenzione vera dell’uditorio, per prendere in un momento l’attenzione di tutti. Il preside Soccio questa virtù l’aveva in sommo grado cointestata all’autorevolezza indiscussa di un sapere senza confini. Ed aveva anche un’altra virtù a suo modo carismatica, quella di seguire i propri alunni – specie coloro che si facevano in qualche modo suoi allievi intellettuali – anche da lontano, non solo da vicino, sempre. Per una sorta di (gelosa?) affermazione di paternità spirituale. (…) Io non ho studiato alla normale di Pisa, l’ho ‘fatta’ al liceo ‘Bonghi’ in orario pomeridiano come lettore, scrivano, o meglio amanuense e correttore di bozze dello scrittore, del pensatore, del letterato Pasquale Soccio” (Paolo Emilio Trastulli, “Pasquale Soccio, professore e preside del Liceo ‘Bonghi’”, in La lezione civile e culturale di Pasquale Soccio, Edizioni del Rosone, Foggia, 2010, pp. 77 e segg.)

Raffaele Simone

Nato a Lecce il 27 maggio 1944, Ordinario di Linguistica generale presso l’Universita degli Studi “la Sapienza”, fino al 1991, e, quindi, Roma Tre, alunno del Liceo durante la Presidenza Soccio, aa.ss. 1959/1960 e segg.; intervento su “Liceo Bonghi – Sezione A” a San Marco in Lamis, 24 marzo 2001, trascrizione da nastro priva di autorizzazione.

“C’erano dei professori, non ne faccio il nome per affetto e simpatia, che avevano più terrore, di noi del preside Soccio, anche in ragione dell’enorme sproporzione tra la sua dottrina e la loro. Ma il terrore di Soccio era un  terrore direi affettuoso  e carismatico, e vorrei sottolineare le due cose nello stesso momento. Carismatico perché Soccio emanava dottrina già nel suo contegno, nella sua voce, particolarmente marcata, netta, che poteva avere oscillazioni importanti tra il massimo di secchezza e il massimo di mitezza; e poi perché visitando le classi poneva dei problemi, e li poneva tanto ai professori quanto agli alunni: le domande che Soccio faceva in queste sue ispezioni, temutissime, erano domande di grande rilievo culturale e, soltanto successivamente, da adulto, e magari adesso più che da adulto, me ne rendo conto. (…) Erano i primi anni sessanta, quindi anni tutt’altro che vivaci dal punto di vista culturale, e Soccio manifestava una straordinaria preveggenza (sul piano storico-politico, relativamente ai rapporti tra civiltà cristiano-europea e quella islamico-mediorientale, ndr) e una capacità di creare cortocicuiti mentali di cui ancora adesso rimango ammirato. (…) Quindi un terrore affettuoso e carismatico che me lo fa apparire nella mente come una sorta di Socrate perentorio, anche per un altro motivo. (…) A me sembrava socratico Soccio, e mi sembra ancor più socratico oggi, non solo per questa sua ostinata propensione ad estrarre dalla testa delle persone delle idee che lui aveva pensato prima, qualche volta riuscendoci qualche volta no, e soprattutto creando scompiglio tra alunni e professori. Ma anche perché sin da allora ci lasciava capire con grande chiarezza un paio di cose che poi l’età adulta avrebbe reso più chiare. Il suo principio (…) era fondamentalmente quello di rispettare le leggi,  anche fossero state ingiuste, vero principio socratico, e di stare lontano dal potere a qualunque costo, pur avendone sentito l’odore e persino maneggiato probabilmente qualche leva. (…) Un uomo, dunque, che sapeva del potere, anche perché aveva contribuito a creare delle persone di potere, ma che se ne era tenuto lontano esattamente alla maniera di Socrate. Quindi una concezione severa dell’educazione, severa nel senso proprio, cioè capace di alternare il massimo della bruschezza con il massimo della mitezza e della delicatezza” (…) Tra gli ex alunni Gaetano Gifuni (Lucera 1932 – Roma 2018), Segretario generale del Senato, Segretario generale della Presidenza della Repubblica  con Scalfaro e con Ciampi, Ministro per i rapporti con il Parlamento.  

Quanto poi ai tanti “lettori” di Soccio, Simone ricorda: “Era segno di grande privilegio e quasi, nello stesso momento, segno di penitenza il fatto di essere scelti da Soccio come suoi lettori. Era una corvée  pesante, perché lui non era un ricevitore qualunque. Era una persona che aveva una sua idea della lettura, della pronuncia, dell’ermeneutica e di tutto quanto si possa associare alla lettura, ma era al tempo stesso una sorta di investitura. Io non ebbi mai questa investitura, non so bene perché, anche se per qualche tempo, lo confesso, ci tenni; però ebbi l’occasione di essere ricevuto diverse volte, soprattutto in terza liceo, nel suo studio, al pomeriggio, dove assistetti a segmenti diversi di questa lettura mediata. E questa lettura mediata, che credo abbia continuato, fino agli ultimi giorni della sua vita, già da allora mi faceva venire in mente l’idea che questo uomo, colpito nel senso più delicato per chi ha interesse alla cultura (…) testimoniava al tempo stesso una straordinaria forza d’animo. (…) Io non l’ho mai sentito lamentarsi, tanto meno piagnucolare sulla sua menomazione, che fino agli ultimissimi anni presentava più o meno scherzosamente, sapendo che era un gioco tra persone che sanno tutto, dicendo ‘come sai ci vedo poco’.  Ma ciò che più è interessante è la qualità delle letture, non soltanto i libri delle sue discipline, ma una grande quantità di giornali, di riviste, una circolazione continua di documenti, che ogni tanto mi passava: questo scambio di carte, che probabilmente faceva anche con altri, era un buon segno di complicità. (…) Io ebbi sin da allora, diciottenne, l’impressione, che poi ho conservato successivamente e che ho ancora nella mente, che Soccio fosse, pur nella sua solitudine fisica, una sorta di centrale culturale individuale  (…) Il volume vichiano è un volume molto complesso dal punto di vista della fattura tecnica, contiene miriadi di citazioni, titoli, passaggi, cifre indicanti paragrafi, esplicitazioni di allusioni, riferimenti. E’ un’opera della quale non si potrebbe immaginare un autore con limitazioni nella vista (…) L’ansia maggiore di Soccio, negli ultimi tempi, era quella di riuscire a pubblicare Penso dunque invento  (Bulzoni, Roma, 2000); di questo lavoro ci siamo occupati un po’  Trastulli  e un po’  io. Ma ciò che a me fece molto colpo è che questo testo, pur essendo un testo di prima stesura, cioè un dattiloscritto, con piccole interposizioni stampate da un calcolatore, ma per lo più dattiloscritto in maniera antica, non aveva bisogno di granché di editazione, se posso dir così, perché era un testo già notevolmente assestato: presentava qualche ripetizione, ma nulla di più da eliminare. Ciò mi pose il problema, del quale tra l’altro io sono appassionato in quanto studioso di strutture testuali. Di strutture linguistiche, del modo in cui la persona che non vede può rappresentarsi un testo scritto per mano d’altri; tutti noi quando scriviamo qualunque cosa, riprendiamo il testo in mano e lo guardiamo per vedere come funziona. (…) Mi sono fatto l’idea che una persona che non vede deve rappresentarsi il testo dentro la mente, cioè deve farsi una rappresentazione interna del testo che sta componendo … (…) Mi detti ad un certo punto una spiegazione dicendomi che Soccio aveva dovuto fare come il marinaio Funes (“Funes il memorioso” è il titolo del bellissimo racconto di Borges che racconta la storia di un  marinaio che non può dimenticare nulla, ndr). Con la differenza che Soccio era un marinaio che si muoveva poco dal suo porto, ma che tuttavia aveva guardato molto in largo e molto in lungo, creando, appunto una sorta di centrale culturale sul suo tavolo, non più al di là del suo tavolo …”

Claudio Lecci

Nato a Foggia nel 1953, alunno del Liceo “Bonghi” alla fine degli anni sessanta, già Dirigente superiore della Polizia di Stato, Presidente della Fondazione Soccio,  con la particolare sensibilità propria della sua disposizione artistica, scrive: “Quando nel suo grande studio di Foggia si alzava dal tavolo per accomodarsi in poltrona, o viceversa, secondo l’importanza, la gravità dell’argomento o l’orario (per esempio leggeva i quotidiani il mattino in poltrona, i ritagli al pomeriggio sulla sedia, coperto da un plaid, grande scrivania coperta da base piramidale di libri ammucchiati per le consultazioni in corso), io coglievo l’attimo per far volare lo sguardo sugli scaffali. Li conoscevo come le mie tasche, lui li aveva in conta come la madre i singhiozzi del figlio, eppure vi trovavo sempre titoli nuovi ed affascinanti: assolutamente nulla da fare, Pasquale Soccio sceglieva il meglio, ritagliava, collazionava, ma leggeva davvero di tutto” (Claudio Lecci, “Poliedrico maestro, insuperabile amico”, in La lezione civile e culturale di Pasquale Soccio, Edizioni del Rosone, Foggia, 2010, p. 111).

Leggere e scrivere per interposta persona

A. Gli “strumenti” del “comporre”: L’intelligenza “distribuita”

     La ricerca psicopedagogica più recente ha reso sempre più chiaro ciò che Soccio anticipava e praticava in modo esemplare. L’intelligenza di ciascuno non è solo nel cervello: certo è ciò che ciascuno ha in testa più quello che si ha a disposizione per utilizzare la propria intelligenza oggi, ad esempio, il computer, l’archivio di file e cartelle, la penna USB, che so come cercare e utilizzare.

Dunque potremmo parlare di una sorta di “intelligenza distribuita”: ciò che è nella testa, più i dispositivi e le persone che mi stanno intorno nonché la capacità di lavorare insieme per lo stesso obiettivo.

La quantità di informazioni che si producono e si rendono disponibili aumenta enormemente di anno in anno: solo mediante l’intelligenza distribuita e condivisa posso tendere a colmare il divario tra crescita delle informazioni e selezione/controllo delle stesse (indipendentemente dal compito sociale di ciascuno e dal lavoro specifico svolto) (Lauren Resnick, psicopedagogista, Università di Pittsburgh).

Certamente anche l’uso di una modalità “distribuita” dell’intelligenza faceva parte di ciò che ho chiamato il curricolo implicito della formazione esplicita di Soccio: naturalmente condizioni di tale esercizio erano la presenza nei lettori/collaboratori di disposizioni, motivazioni, che venivano potenziate e valorizzate. Con Soccio apprendere era un “evento” sociale, focalizzato sul comprendere, sull’acquisizione  di conoscenze significative, tendenti ad amplificare ricorsivamente le competenze dei “convitati” determinando lo stesso futuro sviluppo delle disposizioni della mente (e del cuore). Soccio riusciva a “spostare” i processi mentali necessari alla ricerca in corso (storica, filosofica, letteraria), dalla singola mente all’insieme delle menti presenti in aula, in presidenza, nel suo studio, nella città. Diffondendo così conoscenze e competenze, nel piccolo e nel grande gruppo, mediante la continua riflessione (esplicita ed implicita) su problemi complessi che, proprio perché complessi, producevano nuova conoscenza e sviluppo della capacità di comprendere, pensare, elaborare. La chiave interpretativa da me proposta di intelligenza “distribuita” consente di tenere insieme le persone e l’ambiente di studio: le altre persone (alunni, lettori, …) e gli ambienti di apprendimento (fisici e virtuali):

  1. Il tavolo di lavoro del Preside, al Liceo o nel suo Studio di via della Repubblica a Foggia, magistralmente descritti da Paolo Trastulli ed abilmente “disegnati” da Claudio Lecci
  2. La biblioteca, del Liceo e privata, che padroneggiava in modo eccellente per un utilizzo didattico, di ricerca, di piacere disinteressato
  3. I quaderni (marrone, verde, ..); le rubriche (su cui faceva annotare citazioni, indicazioni bibliografiche, …)
  4. I segretari (Ferdinando Manzi, Modestino)
Modalità/procedure

Lezione euristica: nella lezione euristica o socratica, particolare forma di lezione intermittente, l’insegnante alterna la sua esposizione a domande a frasi non completate, lo studente prende (virtualmente) parte alla formulazione dei contenuti nelle interruzioni, negli spazi, nei punti problematici via via evidenziati, e viene accompagnato nella conoscenza del nuovo secondo un modello di scoperta guidata

Essenzializzazione: essenzializzare per il docente significa individuare e presentare:

  1. i nuclei fondanti delle discipline, cioè i fondamenti epistemologici delle discipline;
  2. la struttura logica delle discipline;
  3. il linguaggio, il lessico, proprio della disciplina;
  4. il metodo ovvero le procedure di ricerca proprie della disciplina;
  5. l’apporto formativo particolare della disciplina

e, dunque, superare ogni impostazione degli insegnamenti tendenzialmente enciclopedica ed onnicomprensiva, poco o per nulla incisive nella formazione degli alunni

Incidente critico: uno strumento o espediente didattico che individua in un evento o in una  affermazione il carattere emblematico di un fenomeno culturale e/o sociale pronunciando, dunque, un giudizio di valore e stimolando il processo riflessivo; coincide, sovente, con l’uso intenzionale , didattico, della dissonanza cognitiva che richiama l’attenzione sulla rilevanza dell’evento e favorisce la riflessione.

B. Il “lettore” del Preside: la mia esperienza

Nei miei anni di liceale (dalla quarta ginnasiale) e poi docente ho sperimentato l’azione di coordinamento e di promozione culturale che Soccio esplicava come preside. Ricordo la particolare cura che il preside ha sempre avuto per la biblioteca d’istituto, che conta oltre ventimila volumi, cura che si manifestava in un piano organico per le nuove acquisizioni, sempre caratterizzate da varietà e pluralismo sul piano ideologico e culturale. L’essere/fare scuola del Preside, dunque, consisteva nel creare un clima di abitudine alla discussione aperta, vivace, alla battuta rapida, al confronto serrato delle opinioni. E non è per caso che ancor prima dell’istituzione degli organi collegiali di partecipazione, nati nel 1974, il preside aveva avviato e regolato questo tipo di confronto/collaborazione con la componente degli studenti e dei genitori.

Quanto alla mia esperienza di “lettore” del preside Soccio prima da alunno del Liceo, poi docente e, successivamente, preside  dello stesso Liceo, ricordo: si tornava a scuola il pomeriggio, molte volte di domenica mattina, e si leggeva e si faceva ricerca nel senso pieno della parola, con la regia magistrale del preside. Egli guidava il lavoro del lettore, o anche di più collaboratori contemporaneamente, impegnati questi, in un lavoro di gruppo in cui ad ognuno era assegnato l’obiettivo da raggiungere, il compito da svolgere, il ruolo da giocare. Contenuti e impostazione del lavoro naturalmente erano già stati pensati prima secondo un principio di interdipendenza positiva tra i componenti del gruppo, scandita ad esempio, dalla successione dei contenuti tra i lettori.  L’interdipendenza positiva nel piccolo gruppo di lavoro così costituito cresceva nel farsi della ricerca, ricerca sapientemente immaginata in tutte le sequenze e procedure, dal preside Soccio. Personalmente devo dire che il gusto per la lettura, la curiosità per ogni genere di informazione, la capacità di andare alle fonti, di compulsare testi, di organizzare un testo scritto con riferimenti e citazioni, se si vuole l’arte di imparare, tutto questo, per quel tanto che è in me, non l’ho appreso all’università o altrove, ma ho avuto modo di apprenderlo frequentando il preside Soccio. Così per anni ed anni, quasi quaranta, ogni volta che mi capitava di fargli visita e di trattenermi al suo tavolo di lavoro, a scuola come nel suo studio a Foggia, in breve tempo venivo coinvolto in una esperienza di aggiornamento nei più vari ambiti, quello storico, quello letterario, quello filosofico, quello scientifico (soprattutto negli ultimi decenni), e venivo interessato da una sorta di bombardamento di richieste che Soccio socraticamente faceva a se stesso e all’interlocutore.

C. Per non concludere

Ha detto Soccio, in occasione di una significativa manifestazione in suo onore promossa dalla Famiglia Dauna di Roma il 28/11/1985, quasi a porre un sigillo identitario perentorio alla sua operosità: “Se tornassi a nascere tornerei sempre ostinatamente convinto in un’aula scolastica. Ho compito studi e scritto alcuni libri in relazione ad essi: quasi tutti hanno una finalità divulgativa ossia educativa: si tratti di un filosofo, di uno storico, di un poeta o della mia terra dauna. Ma questi  libri, come tanti, dopo la fiammata di un po’ di nomea, sepolti nell’oblio, saranno di tanto in tanto riesumati a tavolino da qualche studioso. I libri vivi non scritti ma creati o in qualche modo composti, sono invece i miei allievi, libri vivi e duraturi per più di una generazione. Sono presenti qui parecchi esemplari di questi libri …” (Famiglia Dauna di Roma, Pasquale Soccio. Una vita per la cultura, Lucera, 1986, p. 51).

Se si vuole racchiudere in un messaggio la presenza viva e vitale di Soccio: un invito forte a concepire la vita come tensione morale e impegno costante per una piena realizzazione, personale e sociale, superando vincoli e limitazioni di ogni tipo.

 Ludovico di Giovine

Intervento svolto il 26 febbraio 2022 a Manfredonia nel corso della terza Adunanza della Carta di Calenella, pubblicato in Storie di studiosi di Capitanata tra il XIX il XX secolo a cura di M.A. Di Sabato e N. Biscotti, Appula aeditua, Siponto, 2022

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