Antropologia & Arte,  Memoria

La tassa sul celibato e i “signurine” a Lucera

L’INCUBO DI UNA ITALIA SENZA NASCITE, UN PROBLEMA ATTUALE, MA ANCHE ANTICO.

Gli italiani non fanno più figli: nell’ultimo rapporto dell’ISTAT è stato certificato che anche nel 2022 si è registrato un nuovo calo di nascite, diminuzione dovuta in parte alla rinuncia, per mere ragioni economiche, ad avere figli da parte delle coppie, ma anche da altre cause come, ad esempio, il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età che vengono considerate riproduttive.

La questione ha acceso un ampio dibattito politico sui possibili rimedi per invertire la rotta su questo spinoso problema.

Anche nell’agenda della classe politica al potere alla fine degli anni Venti del secolo scorso l’incremento delle nascite divenne un problema di primaria importanza, perché una popolazione numerosa era indispensabile per perseguire gli obiettivi di grandezza nazionale dell’Italia. Più popolazione significava più lavoratori e più soldati per affrontare lo scontro commerciale ed economico tra gli stati in atto in quegli anni, che lasciava intravedere sullo sfondo la guerra. Pertanto, venne attuata una politica demografica volta a favorire il matrimonio e la maggiore procreazione possibile, tanto da decidere di tassare e indurre al matrimonio più individui di sesso maschile possibile.

In questo contesto lo status di “single” diveniva un ostacolo alla realizzazione di quella politica; pertanto, il 13 febbraio 1927, in Italia, fu istituita L’IMPOSTA SUL CELIBATO, “‘A TASSE SÓP’I SIGNURÍNE “. Tutti i celibi di età compresa tra i 25 e i 65 anni, per fascia d’età e reddito, dovevano pagare una tassa che era composta da un parte fissa, 70 lire per la fascia tra i 25 e i 35 anni, 100 lire fino a 50 anni, 50 lire fino ai 65, e una parte variabile rapportata al reddito del soggetto. Rimanevano esenti dal pagamento dell’imposta soltanto i grandi invalidi di guerra, i sacerdoti, gli interdetti ed i militari soggetti a ferme speciali.

Il gettito ottenuto era devoluto all’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, istituita nello stesso periodo per la tutela di madri e bimbi in difficoltà. Le aliquote della tassa vennero aumentati due volte: nell’aprile 1934 e nel marzo 1937.

In più entrarono in vigore particolari disposizioni governative di cui una riguardava soprattutto le assunzioni : ai celibi venivano preferiti i coniugati con prole.

Non era prevista la tassa sul nubilato poiché il governo riteneva soltanto gli uomini colpevoli della mancanza di nascite.

Anche se il matrimonio è sempre stato, comunque, un “obbligo sociale”, a Lucera vi erano diversi scapoloni (signuríne), abituati a godersi la vita in modo libero, che furono costretti o a pagare la tassa od a convolare a giuste nozze. Anche per evitare insinuazioni, spesso, messe in giro ad arte, alimentate proprio dalla condizione di celibe.

A Lucera, dove l’ironia germoglia facilmente, con tutti i suoi frizzanti sottintesi, anche su argomenti pericolosi, venne coniato negli 30’ del secolo scorso, sfidando l’iniziativa governativa, il modo di dire: PE DESPÌTTE D’I FEGGHJÓLE , PAGHE ‘A TASSE E NNE ME NZORE (PER FAR DISPETTO ALLE RAGAZZE PAGO LA TASSA E NON MI SPOSO).

Tutte queste iniziative non portarono a grandi risultati, probabilmente, sia per gli effetti della Grande Depressione del 1929, sia per l’elevato tasso di mortalità infantile, causato  dalla povertà.

La tassa venne soppressa, dopo l’armistizio, nel settembre del 1943.

Lino Montanaro

PER SAPERNE DI PIU’:

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