Antropologia & Arte,  Memoria

A Salze a Lucera: la passata di pomodoro fatta in casa

Qualche tempo fa mi è capitato di assistere in un supermercato di Brescia ad una scenetta quasi divertente, ma che allo stesso tempo mi ha messo malinconia. Un bambino aveva chiesto, candidamente, alla mamma, ferma con il carrello davanti allo scaffale dei pomodori inscatolati e delle salse, se i pomodori crescevano nei barattoli e nelle bottiglie di vetro. Avrei voluto immediatamente intervenire e spiegare al piccoletto come stavano effettivamente le cose, ma ho desistito, rendendomi conto che la cosa era troppo complicata per spiegarla ad un bambino. Per tutta la giornata, però, mi si è aperto l’armadio dei ricordi e mi è tornata alla mente quella tradizione antica che era nella mia infanzia il lavorare per fare ‘a salze.

In tante famiglie lucerine, la passata di pomodoro fatta in casa eraunatradizione culinaria che non è del tutto scomparsa.

Essa, che si ripeteva nel mese di agosto di ogni anno ed era un vero momento di aggregazione della famiglia lucerina, dove ‘a maresscialle (le nostre mamme) governavano questa faticosa attività assegnando a ciascuno un compito ben specifico, con ritmi da catena di montaggio, coinvolgendo tutta la famiglia: uomini, donne e bambini impegnati in un lavoro abbastanza faticoso, e, persino, parenti e amici.

Tutto cominciava in agosto, quando i pomodori sono belli rossi e maturi. Allora, si acquista da un agricoltore di fiducia la quantità necessaria di pomodoro di qualità: pemmedóre sammarsale o romane(pomodori sammarzano o romani), contenuti in cassette da 20 chili.

Quando tutto era organizzato, sotto la ferrea direzione delle donne di casa (mamme e nonne), con i compiti assegnati a ognuno del gruppo, alle prime luci dell’alba comincia il lavoro, pecchè doppe face troppe cavede (perché dopo farebbe troppo caldo).

Subito si procedeva a selezionare i pomodori, scartando quelli marci; poi a lavarli, compito riservato ai ragazzi. La “catena di montaggio” continuava con la cottura dei pomodori nda nu cavedaróne (in una grossa caldaia) per una decina di minuti circa, fino a quando perdevono di consistenza.

Dopo, i pomodori cotti erano raccolti c’a skumaróle (con la schiumarola) e messi nda nu colapaste (nel colapasta) o in un recipiente, con un telo sul fondo, per far scolare l’acqua che rilasciano. Questo lavoro delicato e pericoloso era assicurato dalle donne.

Una volta colati e raffreddati, i pomodori venivano spremuti nella machenètte da salze (passa salsa). La passata ottenuta scolava in una bacinella, mentre le bucce venivano raccolte in un piatto grande per essere passate più volte, fino a quando se ne otteneva altra. Il compito di girare la manovella, che richiedeva forza, era riservato agli uomini.

C‘a cucchjarèlle de lègne (con la cucchiaia di legno) si mescolava la passata che veniva fatta riposare per qualche ora in bacinelle o contenitori. Nel frattempo si lavano i buatte de salze (i barattoli) e i bbuttiglje de salze (le bottiglie di vetro scuro, di birra, di gassose, ecc.) e si mettono ad asciugare capovolti. Poi, le donne e i ragazzi grandicelli li riempivano, aggiungendovi una foglia di basilico per dare sapore.

Finalmente arrivava la fase finale, molto delicata: le bottiglie e i barattoli, una volta riempiti e tappati, erano sistemati nde fuste (in appositi fusti) colmi di acqua, sotto i quali una fonte di calore porta a bollitura l’acqua, assicurando, quindi, la cottura della salsa.

Per evitare che le bottiglie e i barattoli si rompevano, per urto o il troppo calore, fra gli stessi venivano infilati panni vecchi o paglia, che avevano anche il compito di trattenere il calore dopo la bollitura.

Il giorno seguente, quando l’acqua era diventata fredda, le bottiglie venivano tolte delicatamente dai fusti e conservate nde stípe (nelle credenze) per il loro utilizzo.

Nel mentre l’aria si riempiva di un “profumo” particolare: nei vicoli, nelle strade, nelle piazze di Lucera si diffondeva l’odore dei pomodori che bollivano e quello inebriante del basilico.

Oggi fare ‘a salze è diventata una tradizione di pochi, sia perché le nostre case non sono più adatte per tale attività, sia perché la maggior parte delle donne lavora e non hanno più tempo e voglia di imbarcarsi in questa grande fatica.

Lino Montanaro

PER SAPERNE DI PIÙ

  • Lino Zicca, Lino Montanaro, Lucera di una volta, Catapano Grafiche, 2021

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