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Angoli singolari di Lucera

Per poter dire di conoscere bene Lucera è necessario sapere di angoli, vicoli, strade, piazze ove si cela una Lucera insolita e curiosa, ,fatta di luoghi che restano avvolti da un’atmosfera di mistero, legati a tradizioni, fatti storici, superstizioni o incredibili leggende.

Seguendo questo filo virtuale è possibile creare un itinerario turistico, per futuri visitatori.

LA CASA MERLATA

A Lucera sono molte le residenze signorili appartenenti ad antiche famiglie nobili. Tra esse una di particolare interesse. A metà di via Francesco Del Buono, nei pressi di Palazzo Bruno,  in vico Valletta, vi è una targa turistica con scritto: CASETTA MERLATA SEC. XVI, indicante una costruzione in mattoni rossi con caratteristici merli come cornicione: La casa merlata. Era della famiglia Pomentaro, un’agiata famiglia dell’alta borghesia lucerina. Ci abitava il notaio Masius Pomentarius, come testimoniato dallo stemma posto sulla facciata della stessa che riporta l’anno  MCCCCCVIII (1508) e le lettere F. P.  È un palazzetto che ha conosciuto tempi migliori in secoli di storia e che ha visto passare le dame e i gentiluomini più illustri della città, conservando la sua architettura unica. Sopravvissuta per puro miracolo ai tentativi di scempio del centro storico.

LE MASCHERE APOTROPAICHE

Gli antichi palazzi lucerini nascondono dei particolari che sfuggono al passante distratto, come quei grandi mascheroni in ceramica, pietra o terracotta dalle sembianze spesso mostruose che venivano posti sull’architrave delle porte o a ridosso di finestre e balconi. Sono testimonianze antiche di scalpellini e mastri muratori, ricche di simboli anche esoterici e iniziatici. Le cosiddette maschere apotropaiche, dal greco αποτρέπειν, apotrépein = “allontanare”,  molto comuni  sulle facciate degli antichi palazzi del Centro Storico, raffigurano soggetti fantasiosi,  con espressioni dai tratti severi e terrificanti, con facce demoniache con lingua di fuori e corna vistose. Questo tipo di raffigurazione aveva uno scopo ben preciso: scacciare il malocchio, l’invidia e gli spiriti maligni da quel palazzo, come una sorta di atteggiamento scaramantico a protezione della casa. Ce ne sono ad esempio ad angolo tra Via D’amely e Via Ardito, ad angolo tra Piazza Lecce e Piazza S. Caterina, ad angolo di via Quaranta.

LE EDICOLE VOTIVE

Quando il futuro appare in bilico tra incertezza e angoscia, il lucerino si è sempre rivolto al sacro per trovare speranza e consolazione. Segno di questa popolare emotività religiosa sono le edicole votive (i nicchje) aperte sui muri delle case e dei palazzi, elemento caratteristico delle vie di Lucera.  Esse sono state realizzate  come atto di devozione e  di riconoscenza verso Santa Maria Patrona per una grazia ricevuta, e caratterizzate dalla presenza al loro interno di un’immagine sacra.

A Lucera esistono edicole  più antiche e quelle  costruite nell’estate del 1943 e nel 1944 quando c’era paura che i bombardamenti dell’esercito alleato e dei tedeschi colpissero anche a Lucera. Attorno a esse, contrassegnate da una data e dalla scritta a Devozione degli abitanti di via…  la gente si riuniva in preghiera. L’edicola era  punto di aggregazione e  riferimento per tutto il vicinato, luogo di culto per recitare il Rosario o semplici orazioni durante la giornata. Alle donne era affidato il compito di  prendersi cura dell’edicola, con qualche fiore o con un lumino. La particolare cura dei ceri, in un’epoca in cui l’illuminazione pubblica non era significativa, permetteva di illuminare punti di una strada.  Il loro valore risiede quale testimonianza di fede della comunità lucerina e, pertanto, esse andrebbero tutelate al di là del loro valore artistico.

U PERTÓNE ‘I FATE

Il cosiddetto Pertóne i Fate si trova  nell’attuale Via D’Auria, la strada che collega “Piazza Nocelli” con “Arréte Cassèlle“. Questo portone è famoso sia per la scritta “ESTAT”, scolpita in un pilastro d’ingresso del palazzo che probabilmente era sul frontone di qualche importante costruzione di epoca romana, sia per il nome che sa di esoterico “U pertóne ‘i Fate”.

Circa l’origine di questa denominazione, varie sono le versioni accreditate:

  • una prima, fa risalire la denominazione all’epoca in cui i nostri contadini, dopo una giornata “fóre” (in campagna) parcheggiavano i loro cavalli all’esterno o all’interno delle loro abitazioni o, anche, nei cortili interni ai grandi palazzi. Qualche mattina accadeva che alcuni peli della criniera o della coda dei cavalli, ben attorcigliati, eranodiventati delle treccine.
  • L’immaginario popolare voleva  che esse erano state fatte  da creature magiche come “le fate”;
  • una seconda versione fa risalire la denominazione al soprannome di una famiglia che lì abitava;
  • la terza versione, probabilmente la più accreditata, fa riferimento al fatto che in quel portone lavoravano delle lavandaie, belle donne lucerine chiamate “fate”, sia per le loro capacità di far tornare splendenti gli abiti, sia per il loro scomparire e ricomparire fra le lenzuola svolazzanti, stese ad asciugare. Alla fine degli anni ’50, però, entraono in scena le  lavatrici, che sostituirono progressivamente così un antichissimo mestiere, quello delle lavandaie.

“U PERTÓNE D’A RUTÁRE”

Sono di particolare interesse le vicende legate al “PERTÓNE D’A RUTÁRE “, cioè alla “Ruota dei bambini esposti”.

A Lucera, in un “pertóne sènza porte”, che si trova  nell’attuale Via Amendola, era collocata una sorta di ruota, un dispositivo girevole di forma cilindrica, di legno, diviso in due parti chiuse da uno sportello. Questo congegno, posto in corrispondenza di un’apertura su un muro, permetteva di collocare, senza essere visti dall’interno, neonati da abbandonare, sui quali a volte veniva lasciato un segno di riconoscimento. Spesso,  famiglie povere abbandonavano i loro neonati che non potevano accudire  per povertà e indigenza. In altri casi l’abbandono riguardava bambini nati da relazioni extra coniugali, che erano in netto contrasto con la morale corrente a quel tempo. La ruota, quindi, era una forma di assistenza sociale di tempi passati.

Questi bambini, chiamati in dialetto “ Figghje d’a Madonne” o anche “Figghje d’a róte”, se sopravvivevano, si trovavano a vivere situazioni differenti. C’era chi veniva adottato da coppie di sposi senza figli e chi veniva preso da famiglie ricche per essere utilizzato come domestico. C’era chi veniva preso  o adottato da donne vedove senza figli, o addirittura da donne nubili. C’era chi finiva in famiglie di contadini o di artigiani o in aziende ove avrebbero svolto funzioni di lavorante. Addirittura c’era chi era adottato dagli stessi genitori che l’avevano abbandonato, i quali ricorrevano a questo sotterfugio per ricevere i contributi comunali destinati a chi adottava questi bambini. Infine c’era chi finiva ai margini della società lucerina, diventando delinquente, prostituta.

Ad un certo punto la consuetudine del “ Pertóne d’a Rutare “ fu superata  dai tempi.

“I UAGLJE” (VARCO, ATTRAVERSAMENTO)

Lucera, nei secoli scorsi, come tanti centri della Puglia, era circondata da mura a protezione dell’abitato. Esse, che si estendevano da Porta Troia fino a Porta San Severo, furono abbattute nei primi del ‘800, su deliberazione dell’amministrazione comunale, per soddisfare le nuove esigenze edilizie della città.

Lungo la cinta muraria vi erano rigogliosi orti; oltre questi si estendeva l’agro coltivato a grano e, in misura più limitata, con altri tipi di colture.

Nelle antiche mura furono creati dei varchi per evitare lunghi giri agli ortolani che si recavano a lavorare in campagna. Questi furono chiamati “i uaglje” o “pertúse “.

Tra Porta Troia e Porta Foggia esisteva “ U Pertúse de Muresse “, che probabilmente aveva preso il nome dalla via Mores in cui era ubicato; tra Porta Foggia e Porta San Severo esistevano “U Pertúse Ciavúrre “, in Via dell’Olmo, così chiamato perché situato vicino all’abitazione della famiglia Ciaburri e “U Uaglje Pagghjóne “, ubicato in  prossimità di Piazza Bruno, tra Vico Spadafora e Via Ramamondi, dopo il civico 17, dove si trovavano vari pagliai, locali predisposti per conservare la paglia, i Pagghjóne. Appellativo, quest’ultimo, che diventò il soprannome della famiglia Colucci, agricoltori e commercianti di paglia, che avevano casa e pagliaio in zona. Il varco era usato anche per le loro attività.

Dopo l’abbattimento delle mura, “i uaglje”, denominati anche pertóne sènza porte “ (portone senza porta), diventarono attraversamenti che conducevano in una corte o in un altro vicolo o strada.

“A STRÉTTE CIACIANÈLLE”

Vico Ciacianella, con i suoi quarantacinque centimetri di larghezza, ad altezza uomo, e appena ventidue centimetri, ad altezza tetti, è il vicolo più stretto d’Italia e probabilmente d’Europa.

Si tratta di un varco situato nel cuore del centro storico di Lucera che, per attraversarlo, occorre passarci di traverso. In realtà, è lo spazio tra i muri di due palazzi storici i cui proprietari, per contrasti inerenti all’area su cui costruirli, hanno pensato di trovare quella soluzione per risolvere la loro controversia.

Da dove derivi il nome del vicolo, è un interrogativo che fino a oggi non ha trovato una risposta univoca.

Una prima ipotesi vuole che nei pressi della stretta esistesse una cantina, detta ‘A candíne Ciacianèlle (la cantina di Ciacianella), che avrebbe dato il nome al vicolo. Però, alcuni non la ritengono valida poiché sostengono che sia stato il nome del vicolo a darlo alla cantina.

Secondo un’altra ipotesi, invece, la denominazione deriverebbe da Ciacianella, una popolana che svolgeva un’attività incerta in uno dei sottani del vicolo.

Per i lucerini, pur essendo solo un varco tanto angusto, è sempre stato una specie di scorciatoia utile per raggiungere il Duomo dalla Piazza del Mercato e viceversa.

Da un po’ di tempo, l’accesso alla ” Stretta ” è stato protetto da cancelli. Si era trasformata in un vespasiano a cielo aperto, per comportamenti incivili che, come se il tempo fosse passato invano, sono identici a quelli dei tempi della cantina.

Lino Montanaro

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