L’opera dei pupi o l’Opere i Strazzulle
“Sire, u trone tuculijeje!”…”“E mittice ‘na sepponda, sennò squacce cu músse nderre”! Questo fraseggio, tipico di del quel teatro popolare chiamato l’Opere i Strazzulle, riporta una serie di termini lucerini che vale la pena specificare nel dettaglio:
- Tuculijà = Muovere, vacillare, dondolare, toccare
- Sepponda = contrafforte, puntello, rincalzo, sostegno, rinforzo, appoggio, supporto, zeppa
- Squaccià c’u músse ndèrre = cadere di peso, a corpo morto e rovinosamente per terra.
Ma cosa era in realtà l’Opere i Strazzulle?
A Lucera, e in altri paesi della provincia di Foggia, l’Opera dei pupi era chiamata l’Opere i Strazzulle.
Sull’origine del nome ci sono varie versioni. La prima fa riferimento alla famiglia Strazzulli di Foggia, proprietaria dei locali, dove si tenevano le rappresentazioni dei pupi; la seconda attribuisce il nome al fatto che, nel Gargano, le marionette erano chiamate “strattudde”; la terza ipotizza che il nome “Strazzulle” possa provenire dalla parola “strezzullà” (agitarsi e dimenarsi) propria delle rappresentazione dei burattini: la quarta dal personaggio “Strazzullo” (un burattino comico) che insieme a “Pulcinella” e “Scartellato” (il gobbo) recitava una farsa a fine spettacolo; l’ultima, infine, farebbe derivare “Strazzulle” dalla parola “strazze” (stracci) per indicare uno spettacolo per poveri.
L’Opera dei pupi, teatro epico popolare importato dalla Spagna, si sviluppò a Napoli; in seguito, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, nel meridione e, soprattutto, in Sicilia.
Inizialmente il repertorio era costituito da narrazioni cavalleresche tratte in gran parte da romanzi e poemi del ciclo carolingio; poi, da narrazioni di vicende di persone comuni, di carabinieri, briganti e dalle farse di Pulcinella.
U pupare (il puparo), che era al tempo stesso autore, regista, realizzatore e manovratore del’Opere ‘i Strazzulle, si poneva su di un ponte, posto sopra la scena, e da lì gestiva i movimenti delle marionette. Esistevano dei copioni, semplificati nel linguaggio e nell’intreccio, ma la recitazione era di solito improvvisata e sostenuta da un particolare estro creativo.
A Lucera, l’Opere ‘i Strazzulle, ubicata in una cantina al numero 38 d‘a strade Mosche (di via Giovanni Bovio), era gestita da una certa Donna Tanella (signora Gaetana), le cui rappresentazioni erano destinate al popolino perché la “Lucera Bene” del tempo, frequentava il Teatro Garibaldi.
I lucerini, che conoscevano a memoria le storie e si riconoscevano nei vari personaggi, amavano queste rappresentazioni cui assistevano sgranocchiando durante lo spettacolo nucèlle, cìcere, fafe, spassatímbe e salatille(noccioline, ceci, fave semi di zucca e lupini).
Sulla scena sostanzialmente si conduceva la lotta tra il bene e il male, con l’ultima scena, che vedeva sempre, tra il tripudio generale degli spettatori, il trionfo del pupo “buono” e la condanna del pupo “cattivo”, contro il quale venivano lanciate i scorze (le bucce) di quanto sgranocchiato.
Anche i soldati americani, di stanza a Luceva, amavano questi spettacoli che chiamavano “Strazzy Opera”.
Dopo gli anni Cinquanta, le moderne forme di rappresentazione e i nuovi gusti del pubblico hanno portato lentamente nell’oblio il genere. Di questa forma di rappresentazione teatrale non è rimasto niente. Se non alcuni modi di dire: «Mò che àmma ffà, l’Opere ‘i Strazzulle?», per significare «Ora dobbiamo dare spettacolo?»; «’A púpe ‘i Strazzulle», per indicare una persona che si muove a tratti, appunto, come le marionette.
Lino Montanaro