La visita a Lucera di Fra Agostino Mattielli nel 1683
Il frate francescano Agostino Mattielli da Stroncone, in qualità di commissario visitatore per l’Ordine, si trovava in Puglia durante la primavera e l’estate del 1683. Giunse a Lucera il 12 Giugno, dopo un invito ricevuto personalmente il 9 giugno dal padre provinciale della Riforma, Arcangelo di Lucera, il quale lo invitava alla visita dei resti del Beato Giovanni Vici da Stroncone.
Alle 6 del mattino, di buona lena, ci dice che con un compagno si avviò da Foggia. A 6 miglia da Lucera vide un ponte che egli stesso definì “delle puttane” sotto cui non passava acqua.
Descrivendo le zone fuori dalla città afferma che “è piano senz’alberi, senza case e senza masserie: tutta terra rasa per pascoli eccetto alcuni pezzi grandi di grano molto belli”.
La città è cinta di mura con “torrioni ad ogni 50 passi”, tra l’altro “all’antica”, forse riferendosi alle origini medievali della fortificazione.
Fuori dalle mura ci sono 4 conventi, i Carmelitani, la Pietà dei Frati Minori, i Cappuccini e i Riformati.
Secondo il racconto di Frate Agostino, Lucera in quel periodo conteneva 2.500 famiglie e circa 12.000 persone. Aggiunge inoltre che vi era “nobiltà ragguardevole, poche ricchezze e gran povertà”.
Menziona inoltre la presenza dell’Udienza di Capitanata e del contado di Molise.
Poi passa al Duomo, “grande maestoso e fatto con gran spesa”. Affascinato dal battistero e dal campanile con bassorilievi, con non poco sdegno, riporta che la chiesa fu fatta erigere sulla moschea data ai Saraceni da Federico II. Gli viene mostrata inoltre la lastra di marmo che fungeva da altare e portata a Lucera dal Beato Giovanni da Stroncone.
La sua visita prosegue presso il convento del SS. Salvatore dove ad attenderlo c’è padre Arcangelo di Lucera. Anche qui, come in Cattedrale, gli mostrano l’altare formato da un’altra lastra portata dal Beato Giovanni il cui corpo vi si trovava proprio al di sotto. Racconta anche che nella sacrestia vi si conservava una reliquia che fu trafugata da un vescovo dei Balcani. Il convento in quel periodo era in funzione con dormitori e chiostro nel quale c’era un pozzo d’acqua “dolce assai e buona”.
La fortezza, poco distante dal convento, è diruta “ma tra le sue rovine ritiene vestiggi dell’antica magnificenza”.
Nella città ci sono anche altre chiese dei Celestini, Domenicani, Conventuali, Agostiniani, Buonfratelli e un monastero di monache.
Infine la sua visita terminò presso il convento della Madonna della Pietà, di cui descrive la fondazione a seguito di alcuni miracoli della Beata Vergine avvenuti nel 1592. La chiesa ha sei altari di cui solo quello di Sant’Antonio da Padova è “ben in ordine”. Il convento, invece, ha 15 stanze e anch’esso è dotato di un pozzo però “d’acqua salmastra”. Il convento è anche dotato di un orto chiuso da mura al cui interno si coltivano fichi, viti e olive.
Ebbe modo di ritornare pochi giorni dopo, il 21 giugno, per dire messa presso il convento del SS. Salvatore dove misurò l’altare in 12 palmi di lunghezza, 41 di larghezza e 1 di spessore. Il giorno successivo ripartì per lasciare la Puglia.
Tutto il racconto, comprensivo delle descrizioni delle altre città, è contenuto nell’articolo di Tommaso Nardella, La Capitanata in una relazione per visita canonica di fine seicento, in Rassegna di studi dauni, anno III (1976) n. 1-2. pagg.71-98.
Alessandro De Troia